Regione: a rischio la ‘parifica’ del Bilancio?
La notizia, la vera notizia è che, per la prima volta nella storia dell’Autonomia siciliana, la Corte dei Conti si rifiuta di parificare il Bilancio della Regione. Nella conferenza stampa convocata in fretta e furia, oggi, dal Governo, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e l’assessore all’Economia, Luca Bianchi, si sono messi a fare filosofia: dobbiamo istituire un fondo rischi di qua, incrementare un altro fondo di là…
Chiacchiere, insomma. La realtà è che, ormai, la Regione siciliana è tenuta sotto scacco dal Commissario dello Stato e, adesso, anche dalla Corte dei Conti. Domani i giudici contabili dovrebbero ‘parificare’ il Bilancio della Regione.
E’ probabile che, per concedere la ‘parifica’, abbiano chiesto al Governo siciliano – di fatto – di mettere da parte i soldi per quello che si annuncia come un fondo di riserva o di garanzia.
Le indiscrezioni raccontano di un dialogo burrascoso tra i rappresentanti del Governo e una magistratura contabile che non ne vuole più sapere di concedere proroghe, sulla base di entrate fantasiose e di promesse poi non mantenute.
Insomma, questa volta si fa sul serio. In conferenza stampa, ovviamente, Crocetta e Bianchi si sono presentati sorridenti, illustrando una manovra sul bilancio che dicono di aver pensato loro, ma che, nei fatti, è stata imposta dalla Corte dei Conti, pena la mancata parifica del Bilancio prevista per domani.
Da qui un disegno di legge presentato con una serie di paroloni e di tecnicismi tesi a non far capire ai siciliani quello che sta succedendo. Proviamo noi a illustrarlo.
La manovra approvata lo scorso aprile fa acqua da tutti i lati. Ed è stata, per giunta, in parte impugnata. In parte perché è stata fatta male e in parte perché la Regione siciliana non era in grado di sopportare un prelievo forzoso di 800 milioni di euro imposto dal Governo nazionale nel nome del rispetto del Fiscal Compact, un trattato internazionale, firmato lo scorso anno dal Governo Monti e approvato dal vecchio Parlamento nazionale, che vincola il nostro Paese a un esborso di 50 miliardi di euro all’anno per 20 anni.
Una follia che il nostro Paese non può reggere. E infatti la Regione siciliana sarà, con molta probabilità, la prima a cadere. A fronte di un prelievo così pesante, il Governo di Rosario Crocetta avrebbe dovuto chiedere una contropartita e attuare, contemporaneamente, una politica di risparmi.
La politica di risparmi c’è stata, con tagli selvaggi alla sanità pubblica (che ormai è un colabrodo). Quindi la pioggia di trasferimenti del personale e il blocco dei contratti della dirigenza che, al di là delle chiacchiere, hanno avuto e hanno un solo obiettivo: bloccare l’amministrazione regionale e, di conseguenza, limitare al minimo la spesa. Poi il sostanziale blocco dei trasferimenti ai Comuni, l’abolizione degli organi elettivi delle Province regionali per risparmiare circa 50 milioni di euro e la sceneggiata sulla Tabella H per recuperare altri 45 milioni di euro e, ancora, tagli qua e là in tutti gli altri settori dell’amministrazione.
Manovra pesantissima. Che, di fatto, ha bloccato l’economia siciliana già asfittica. Accanto al contenimento delle spese il Governo, come già accennato, avrebbe dovuto lavorare sul fronte delle entrate: non su quelle fittizie, come ha provato a fare, ma su quelle vere. Le entrate non possono arrivare dalle famiglie siciliane, già massacrate dalle tasse. E nemmeno dalle imprese siciliane, ormai boccheggianti (anche perché le Regione non ha pagato ancora i servizi forniti dalle stesse imprese).
Il Governo Crocetta avrebbe dovuto aprire un vero tavolo con il Governo nazionale per affrontare la questione fiscale. Di questo avrebbe dovuto occuparsi l’assessore all’Economia, il romano Luca Bianchi.
Già un romano che viene messo all’assessorato all’Economia, per giunta nei mesi in cui al Governo nazionale c’era ancora Mario Monti, sapeva (e sa ancora) tanto di commissariamento. Ma il presidente della Regione non ha fatto caso a questa ‘facezia’ e ha lasciato a Bianchi il compito di trattare con Roma.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Bianchi non ha nemmeno aperto il capitolo dell’articolo 38 dello Statuto, il Fondo di solidarietà nazionale che il Governo romano – complice un decennale ‘ascarismo’ della politica siciliana – ignora. L’assessore si è limitato ad avviare una trattativa-burla sull’articolo 37. E’ la parte dello Statuto che dovrebbe imporre alle imprese nazionali, con stabilimenti in Sicilia e sede sociale quasi sempre nel Nord Italia, di pagare alla Regione le imposte.
Qui abbiamo assistito a un’altra sceneggiata. Applicando questo articolo al ribasso, la Regione non dovrebbe incassare meno di 4 miliardi di euro. L’assessore ha invece portato conti tutti suoi, dicendo che alla Regione spetterebbero 50 milioni di euro appena!
I numeri, però, sono numeri: e difficilmente possono essere smentiti. Lo scorso anno Unicredit ha portato a Milano la sede sociale del Banco di Sicilia. E alla Regione – è il dato ufficiale del Bilancio regionale 2012 – sono venuti a mancare circa 300 milioni di euro (le imposte che il Banco di Sicilia pagava alla Regione). Ora, facendo pagare le imposte in Sicilia alle raffinerie, agli stabilimenti petrolchimici, alle assicurazioni, alle banche, insomma a tutte le imprese non siciliane che operano nell’Isola la Regione, secondo l’assessore Bianchi, dovrebbe incassare 50 milioni di euro: è o non è una presa in giro?
Di fatto, la Regione è a ‘secco’. Niente fondi articolo 37, niente fondi articolo 38, niente trattativa sulla sanità (tra un po’ pubblicheremo un articolo a parte sulla sanità: altra manchevolezza dell’assessore Bianchi).
Oggi è arrivata l’ennesima doccia fredda: la Corte dei Conti vuole che una Regione già senza soldi metta da parte altri soldi per coprire quella parte delle entrate che non ci sono. E vuole che la Regione ci metta soldi veri: quei soldi che Crocetta e Bianchi si sono fatti scippare da Roma per il Fiscal Compact (800 milioni di euro) e quei soldi che sarebbero dovuti entrare con gli articoli 37 e 38 dello Statuto che sono, di fatto, ‘per memoria’, cioè a zero euro.
Il Governo Crocetta, senza sapere né legge, né scrivere si è
presentato oggi in conferenza stampa con un disegno di legge che Sala
d’Ercole dovrebbe approvare a tamburo battente. E
qui sorge un altro problema: a che titolo il Governatore Crocetta ha
garantito l’approvazione di una legge da parte del Parlamento
dell’Isola? Forse il Governo è il ‘garante’ del Parlamento? A noi non ci
risulta.
A nostro modesto avviso, il governatore Crocetta, davanti a un fatto
così grave (di mezzo, lo ricordiamo, c’è la mancata parifica del
Bilancio che potrebbe avere conseguenze devastanti) avrebbe dovuto
coinvolgere la presidenza dell’Ars e presentarsi in conferenza stampa
con il presidente del Parlamento, Giovanni Ardizzone,
unica figura garante dello stesso Parlamento dell’Isola. Invece Crocetta
e Bianchi hanno fatto tutto da soli. Di fatto, provando a mettere Sala
d’Ercole davanti a un fatto compiuto. O forse il presidente Ardizzone sa
tutto e ha avallato tutto?E adesso? I parlamentari dell’Ars si aspettano un assestamento di bilancio per dare soldi ai Comuni, per le attività produttive, per le attività culturali. Non solo questi soldi non ci sono, ma bisognerà raschiare ancora il barile per costituire un fondo di garanzia. A chi verranno tolti questi soldi? Ai Comuni? Ai forestali? Alle attività culturali? Alla Spesa sociale?
Domani, intanto, parlerà la Corte dei Conti. Che, in questo momento, è l’unica istituzione che, difendendo la chiarezza dei conti, difende l’Autonomia siciliana.
Questa volta, dalla magistratura contabile, la ‘botta’ per la politica siciliana sarà pesantissima. Ce la vogliamo vedere tutta.
27 Giugno 2013
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