22 marzo 2012

LA “BOZZA” DI RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO


La riforma dei trattamenti di disoccupazione


1) Ha il pregio di non modificare, salvo l’accenno ad una “futura rivisitazione” dell’art. 1, co. 55, della L. 247/2007, l’attuale disciplina della disoccupazione agricola, evidentemente, almeno implicitamente riconoscendo la “specificità” del lavoro in agricoltura, per sua natura formato da periodi “strutturalmente” di occupazione e di disoccupazione e di disoccupazione, di contribuzione “effettiva e figurativa”.

2) Sostituisce la precedente indennità “ordinaria” di disoccupazione non agricola con un trattamento del tutto analogo nei presupposti, di maggior durata e di importo che, grazie all’unificazione del “massimale” mensile al livello più elevato, è praticamente sempre di maggior favore.

3) Sostituisce la precedente indennità di disoccupazione con “requisiti ridotti” con una “ASpI breve”, i cui presupposti sembrano sostanzialmente analoghi a quelli dell’indennità sostituita, il cui importo è più favorevole per i lavoratori, con l’ulteriore “vantaggio” dell’erogazione immediata e non più l’anno successivo.

4) Viceversa, sorge più di qualche incertezza e di qualche preoccupazione in ordine ai modi, ai tempi ed agli effetti della sostituzione con l’ASpI della precedente indennità di mobilità, in quanto: a) la durata del “trattamento ASpI” è di 12 o 18 anni mesi – per i lavoratori, rispettivamente, di età inferiore o superiore a 55 anni – sull’intero territorio nazionale, mentre la durata dell’indennità di mobilità varia, a seconda dell’area geografica, dell’età anagrafica e delle personali condizioni dei lavoratori da 12 a 48 mesi, per cui e sotto questo rilevantissimo profilo il “trattamento ASpI” è di minor favore rispetto alla mobilità; b) accordi di mobilità possono essere stipulati ancora per tutto il 2012 ed “a valere” nel massimo per i 4 anni successivi, ma la durata della relativa indennità viene progressivamente ridotta, con cadenze varabili al variare dell’età dei lavoratori e dell’area territoriale, tra il 2013 ed il 2016, anno in cui l’ASpI sostituirà integralmente e definitivamente la mobilità; c) l’attuale contributo per la mobilità, pari allo 0,3%, resta invariato, fino a tutto il 2014, si 3
ridurrà dello 0,1% l’anno dal 2015 e scomparirà del tutto nel 2017, un anno dopo la definitiva scomparsa dell’indennità di mobilità.

5) Il “costo contributivo del lavoro” sembra aumentare, con non marginali conseguenze sulla competitività del sistema produttivo italiano, sia per l’estensione del contributo per la disoccupazione ai rapporti di lavoro attualmente esclusi – che, però, beneficeranno del “trattamento ASpI” di disoccupazione, rispetto alla quale sono oggi privi di tutela – sia per l’aliquota contributiva aggiuntiva dell’1,4 % a carico della gran parte dei rapporti di lavoro non a tempo indeterminato, sia per l’inedito
“contributo di licenziamento”, pari nel massimo ad 1,5 mensilità di retribuzione, che le imprese dovranno versare all’INPS allorchè risolvano, sia pure legittimamente, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e persino ove licenzino un dipendente “per giusta causa”, mentre i contributi sociali di conseguenza aboliti – pari al 2,40% nel settore edile ed all’1,61% negli altri – non paiono sufficienti a compensare il ben più elevato importo del “contributo di licenziamento”.
6) I lavoratori “stagionali” dovrebbero rientrare nella disciplina generale dell’ASpI “lunga e breve”, mentre sembra del tutto ovvio, senza bisogno di particolari “studi”, che l’aliquota contributiva su tali rapporti “strutturalmente precari” ed esclusi dalla stessa “stabilizzazione per legge” dopo 36 mesi di lavoro, debba essere dell’1,3 e non dell’1,4%.

7) Manca ogni regolazione della “contribuzione figurativa” nel nuovo sistema degli ammortizzatori sociali, che vanno dall’estrema ed improbabile sua abolizione alla meno ipotetica, ma di sicuro socialmente devastante, sua commisurazione al “trattamento ASpI”, invece che alla retribuzione percepita e sulla quale è stata calcolata l’aliquota contributiva, fino al lasciare le cose come stanno e, pertanto, questo sembra un aspetto assolutamente decisivo per la valutazione della riforma, in quanto a differenza della stessa “manutenzione più o meno radicale” dell’art. 18 coinvolge il “futuro pensionistico” di milioni di lavoratori.

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