Un fotomontaggio di Musumeci con un libro di Luis Sepulveda che è un elogio della lentezza
15/04/2018 - di Mario Barresi
Il governatore nel weekend si è sfogato davanti agli industriali contro il blocco conservatore. Ma all’Ars c’è il piano del dopo-Finaziaria per stanare 5stelle e Pd
CATANIA - Essendo un politico navigato non si aspettava certo di vivere dentro un cartone animato. Ma neanche in un film dell’orrore. Dopo quattro mesi a Palazzo d’Orléans, Nello Musumeci fa i conti con se stesso. E a chi - anche fra i suoi alleati - comincia a fargli arrivare il fastidio per una certa «lentezza», lui risponde stizzito: «Non confondetela con la prudenza!». Il riferimento, forse, sarà anche ai tempi di scelta del successore di Figuccia ai Rifiuti, magari anche alle 72 ore di vuoto di potere ai Beni culturali dopo le dimissioni di Sgarbi. Nonostante il governatore consideri una vittoria personale la nomina di Tusa, minacciata da chi in Forza Italia gli contrapponeva «un assessore politico per sistemere gli equilibri interni». Ma lui non ci sta: «Per fare le cose bene ci vuole il tempo necessario», ripete Musumeci ai suoi. Aggiungendo che «le leggi le fa il parlamento» e rivendicando, soltanto fra gli ultimi atti del governo, lo sblocco dell’aria di crisi di Gela e il piano stralcio sui rifiuti, che «non era neanche dovuto perché il piano definitivo lo faremo entro il 2018».
Ma il tempo passa inesorabile e Musumeci deve fare i conti con gli altri. Con la sua coalizione, sempre in punta di pallottoliere. E con le opposizioni, che preferiscono di gran lunga il bastone alla carota.
Non molla, il governatore. Eppure i sogni (che son desideri) hanno già fatto spazio alla realtà. Talvolta amara.
E all’analisi. In pubblico, come venerdì mattina a Catania, davanti al popolo di Confindustria. Uno sfogo in piena regola, in una sala che lo ascolta in rispettoso silenzio. «Il mio obiettivo quando mi sono insediato era quello di iniziare la fare le riforme. Io posso limitarmi a proporle, ma queste devono poi essere approvate dal parlamento. E ho capito che la stagione delle riforme in Sicilia non la vuole nessuno».
Una denuncia quasi in stile crocettiano. Ma vomitata con tono austero: «Questa legge elettorale non permette al presidente della Regione di avere una maggioranza stabile». E la sempre più frequente idea: «Io non mi lascerò piegare o condizionare da nessuno, sono disposto a chiudere le riforme e ad andare a casa», dice agli industriali che l’applaudono. Al contrario di un’Ars che ha vissuto lo scenario delle dimissioni come un’oltraggiosa minaccia.
Ma stavolta Musumeci va oltre: «Trovo un muro ogni qual volta si tenta di metter in campo riforme finalizzate a ridurre gli sprechi o a cancellare enti inutili, che costano solo denaro pubblico». Confessione finale: «Mi trovo ogni giorno di fronte a dei muri. I poteri della conservazione si trovano uniti di fronte al cambiamento».
Fin qui l’esternazione pubblica. Con chi ce l’ha il presidente? «Anche con chi si fa strumentalizzare, non sempre in buona fede, dai potentati», sostiene chi, fra i suoi fedelissimi, ha affrontato il discorso negli ultimi giorni. L’elenco sarebbe lungo: dai sindacati che lo attaccano per tenere in vita l’Esa dove ci sono «i 380 trattoristi, quasi tutti agrigentini, lascito del vecchio potere di Vincenzino Lo Giudice detto “mangialasagne”», alle lobby di coop, artigiani e gruppi finanziari che remano contro l’accorpamento di Irfis, Crias e Ircac. Per non parlare dei primi sit-in dei forestali e delle barricate annunciate sul fronte dei Consorzi di bonifica.
I «poteri della conservazione», però, sono anche dentro i Palazzi. Dalla burocrazia destabilizzata dal «cambio di 17 direttori generali su 28» allo stesso centrodestra, perplesso - giusto per fare un esempio - sulla rottamazione dei 10 Iacp soprattutto per la potenziale perdita di posti di sottogoverno, fra cda e revisori.
«Ma noi le riforme le faremo, subito dopo la sessione di bilancio», ha giurato davanti agli industriali. Ai quali non ha rivelato però il piano per stanare chi «prima certe cose le voleva e ora fa finta di dimenticare». Come il M5S sull’accorpamento Irfis-Irac-Crias: «Era nel loro programma», annota un musumeciano doc. O come il Pd sulla soppressione dell’Esa: «C’era anche un ddl di Cracolici», rammenta la medesima fonte. Che pregusta il momento in cui «li staneremo».
Una sfida difficile, rischiosa. E allora la mancanza di sprint di cui qualcuno lo addita, forse, è un’altra cosa. È “lentitudine”. Magari un po’ di prudente lentezza, ma soprattutto solitudine.
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