11 maggio 2013

CONFINDUSTRIA TACE SULLE BANCHE SUPERPROTETTE IN SICILIA



Banche superprotette in Sicilia: Confindustria tace

banca
Confindustria Sicilia ha bocciato la finanziaria senza attendere il ‘responso’ del commissario dello Stato. “Balzelli francamente inopportuni e spropositati nella misura”, afferma Confindustria, mostrando il pollice verso. L’Assemblea avrebbe una sola cura “come nel passato più o meno recente”, e cioè  “l’ascolto degli umori e delle questue della ‘piazza assistita’, acquietata e soddisfatta e che ha ringraziato con manifestazioni di giubilo”.
Sicindustria è “ben consapevole che occorre preservare la coesione e la tenuta sociale. Non si può fare macelleria sociale, ma i precari devono essere valorizzati e non utilizzati per mantenere il consenso nella perenne campagna elettorale”.
Dopo le bacchettate una proposta illustrata in viva voce da Antonello Montante, leader di Confindustria: “Lavorare insieme nelle prossime settimane seriamente per affrontare i nodi strutturali della Regione e pensare a costruire il futuro”.
“Siamo disponibili – assicura Montante – a collaborare con il governo e con le commissioni dell’Ars, insieme con le altre associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali, alla costruzione di una legge per lo sviluppo della Sicilia, che costituisca lo strumento per dotarsi di un ‘Piano industriale’, con una road map che ci consenta da qui ai prossimi 5 anni di uscire dal tunnel”.
Buone ragioni e buone intenzioni, niente da eccepire, non fosse per qualche dettaglio. Da alcuni anni il governo della Regione può contare su frappresentanti dell’imprenditoria siciliana. A differenza di altre categorie e settori, la Confindustria Sicilia sarebbe stata sampre rappresentata, e lo sarebbe ancora oggi stando alle cronache, seppure informalmente. Si vede che non è servito a niente o che questa rappresentanza è stata , ed è malamente utilizzata. O, ancora, che non basta avere un assessore nella giunta di governo per aggiustare le cose, che è l’ipotesi più attendibile.  Sia Raffaele Lomvardo quanto Rosario Crocetta, tuttavia, non hanno trascurato Confindustria Sicilia e, a quanto pare, Antonello Montante. E prima di lui, Ivan Lo bello, che addirittura ha presieduto il banco di Sicilia, seppure nell’ultimo tratto di strada.
C’è dell’altro. Confindustria Sicilia fa la voce grossa con la Regione e le sue istituzioni, sicuramente a buon ragione, ma trascura accuratamente di chiamare al tavolo del “paziente”, cioè le imprese siciliane, un interlocutore essenziale, le banche. Se la prende con l’autoambulanza, insomma, visto che i soldi non si trovano più nelle casse della Regione, e quel che ci sono, vengono contese fino all’ultimo euro, in modo corretto o sbagliato. I soldi si trovano nelle banche, dove arrivano copiosi dalla Bce senza dovere faticare né pagarli a prezzo alto. Anzi, da alcuni anni a questa parte, la Bce ha aperto i cordoni della borsa con una generosità che non ha precedenti. Di contro, invece, le banche hanno stretto i cordoni della borsa, negando il credito sia alle imprese quanto alle famiglie. I mutui sono calati in modo significativo, le aperture di credito alle im,prese in modo altrettanto significativo, al punto che Unicredit, che ha ereditato il Banco di Sicilia, invia ai suoi funzionari circolari per stoppare lo sconto di fatture della Regione siciliana. La tesoreria regionale, insomma, maltratta la Regione. E, di conseguenza, anche le imprese.
Da questo orecchio, tuttavia, i vertici di Confindustria Sicilia sembrano non sentirci. Il mondo comincia e finisce con la Regione siciliana. Una cultura, o una scelta, che ha finora penalizzato fortemente l’Isola e reso impossibile il suo sviluppo.
Le colpe non stanno tutte da una parte, ovviamente. Gli incentivi, finanziamenti e privilegi, consentiti dalle risorse pubbliche, hanno drogato il mercato e diseducato l’impresa siciliana. Vincere facile, avrebbe detto Catalano, è meglio che competere sul mercato.
Marco Onado sul Sole 24 ore ha recentemente ricordato che  “le banche non hanno mai ottenuto liquidità a condizioni cosi vantaggiose e in quantità illimitate, ma le imprese, soprattutto quelle piccole e medie non hanno mai avuto credito in misura cosi scarsa e a tassi cosi penalizzanti”.
Questa forbice, tuttavia, non sembra scuotere affatto Confindustria Sicilia, come se l’isola fosse un’oasi di “benessere” nel campo creditizio, mentre è esattamente il contrario: la Sicilia è più penalizzata perché il costo del denaro è più alto e la liquidità dispomnibile più bassa che altrove.
Il silenzio tombale sulle banche viene rispettata rigorosamente. Bisogna raschiare il fondo per trovare interventi della politica e dei rappresentanti delle istituzioni. Eppure non c’è imprenditore che non si lamenti del trattamento ricevuto dalla banca. E non c’è famiglia che non ricordi il faticoso e talvolta vano tentativo di accedere ad un mutuo o a un prestito.
Per rimettere in corsa l’economia l’apertura al credito, la politica bancaria appare essenziale. Il deputato regionale Michele Cimino, mosca bianca, si occupa di banche e lancia una proposta.  “Ritengo”, sostiene, “che il Presidente Crocetta debba attivare con la commissione bilancio un mandato di inchiesta e di indagine per verificare quanto del raccolto in Sicilia dal sistema bancario viene investito”.
Inutile confidare nei risultati di una indagine siffatta, naturalmente, ma avere conoscenza di come stanno le cose è una buona cosa. Serve a far sapere se è giustificata e fino a che punto la stretta creditizia e che fine fanno i soldi dei risparmiatori siciliani. Magari servono a finanziare investimenti nel triangolo industriale. Una beffa.

10 Maggio 2013 




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