Agricoltori che bruciano sterpaglie, pastori che danno fuoco all’erba, cacciatori, e poi il giro dei mezzi aerei antincendio
14 Agosto 2019
MONREALE – In questi giorni il territorio di Monreale è stato messo a dura prova, gli incendi hanno devastato diversi ettari di patrimonio tra San Martino delle Scale, Pioppo e Giacalone. Con molta probabilità la Sicilia, anche per quest’anno, sarà ai primi posti nella graduatoria degli incendi territoriali e boschivi.
Ai danni al patrimonio boschivo si aggiungono quelli ambientali. Per non parlare di quelli economici. Secondo il dossier dell’autorità di bacino il 14% del territorio regionale è desertificato, il 10% classificato come sensibile, il 50% vulnerabile alla desertificazione. Sostanzialmente il 75% del territorio siciliano è a rischio. Una conseguenza dei cambiamenti climatici su scala planetaria, ma anche della distruzione e limitazione del patrimonio forestale e preforestale. Di questo disastro gli incendi sono un fattore primario.
Gli incendi distruggono flora e fauna boschiva, ma i danni si riversano anche negli ambiti produttivi. Contribuendo, ad esempio, a compromettere l’agricoltura in sinergia perversa con il surriscaldamento climatico.
Secondo un dato riportato dalla Coldiretti, nell’ultimo decennio in tutta Italia il danno subito dall’agricoltura è di 14 miliardi di cui 1 miliardo e mezzo riguarda la Sicilia.
Secondo Legambiente nel 2017 un incendio su tre riguardava parchi e riserve.
“In una situazione così complessa – afferma Salvino Carramusa, sindacalista CGIL del settore forestale – bisogna intervenire dando all’argomento priorità assoluta, molto di più di quello che è stato fatto fino ad oggi. Bisogna distinguere – prosegue – il piano penale da quello amministrativo per poi coniugarli“.
In Sicilia di incendiari ne sono stati intercettati pochi. Negli ultimi 20 anni fermati in 40, la media di 2 l’anno, quindi l’impunità assoluta.
Per Carramusa per risolvere il problema che attanaglia l’Isola “occorrerebbe creare un pool specializzato per perseguire i crimini ambientali in generale ed i reati di incendio boschivo e territoriale in particolare. Il presidente della Regione – afferma – dovrebbe farsi promotore di una Commissione parlamentare d’inchiesta sugli incendi e i disastri ambientali, per contribuire ad accertare le molteplici responsabilità.
Se ci soffermiamo a fare la conta dei danni economici ed ambientali – sempre negli ultimi 20 anni – sono andati in fumo 150 mila ettari di bosco. Alberi danneggiati e tanti in modo irrimediabile. Devastati dal fuoco complessivamente, tra boschi e terreni privati, 409mila ettari di superficie. Un danno complessivo di 4miliardi e mezzo di euro.
Ma chi sono gli artefici dei roghi? “Secondo le statistiche regionali e nazionali non sono solo piromani. Troviamo agricoltori che bruciano sterpaglie, pastori che danno fuoco per l’erba, cacciatori che devono far uscire la selvaggina, cercatori di asparagi, ditte boschive che vogliono rinnovati i contratti e le concessioni dall’ente pubblico. Beccati adolescenti che lo facevano per il piacere di farlo, improvvidi studenti universitari. Ci sono le vendette nei confronti dei pastori, per cui si incendia a luglio o a giugno distruggendo il pascolo. Beccato anche qualche forestale intento ad appiccare l’incendio”.
Spostando l’attenzione sulla normativa, vediamo come l’art.10 della Legge 353 del 2000 vieta il cambio di destinazione nei terreni boscati e pascolivi percorsi da incendi. “Vietate le attività di rimboschimento con risorse finanziarie pubbliche per un periodo di 5 anni (salvo deroghe speciali come in situazioni di dissesto idrogeologico). Infine, “sono vietati per 10 anni, limitatamente ai soprassuoli boscati percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia. Da ciò discende – commenta Carramusa – che nei terreni pascolivi privati percorsi da incendi si può continuare a pascolare”.
“Nonostante questo ed altri limiti della legge 353/2000 (non sono previsti divieti e vincoli per i terreni agricoli), la mancata redazione del catasto degli incendi boschivi, da parte dei comuni, fa diminuire le misure di deterrenza”.
“I forestali – dice Carramusa – vengono pagati per le giornate di lavoro stabilite da contratto. In più possono avere qualche ora di straordinario”.
Ma oltre i forestali – i primi da sempre ad essere additati come i colpevoli – nello scenario degli incendi ci sono diversi attori. “Esistono delle figure pagate ad intervento – spiega – Carramusa -, e la norma è da rivedere perché potrebbe far scattare strani meccanismi”.
“Poi si presume ci sia l’interesse degli aerei – osserva – 8.000 euro per ora di volo. Dopo un certo numero di ore di volo vengono pagati ad intervento. Ma non è mai stato provato che ci sia una connessione tra incendi e le imprese che li gestiscono. Quindi dei costi altissimi, ma in assenza di una più efficace prevenzione primaria e secondaria gli interventi dal cielo sono divenuti sempre più consistenti”.
Ma c’è anche un altro aspetto sul quale si sofferma Carramusa ed è quello delle concessioni (attività agricole, forestali, pastorali) legate al demanio della regione.
Nel 2016 serviva una certificazione antimafia per importi di concessione superiori ai 150mila euro, oggi invece, la soglia è stata portata a zero. “È plausibile l’ipotesi che questa norma più restrittiva abbia potuto determinare azioni distruttive”.
La prevenzione contro gli incendi, oltre alle amministrazioni forestali interessa l’Anas, le Ferrovie, l’Enel le istituzioni pubbliche regionali ed i comuni nel duplice compito di gestire correttamente le proprie terre demaniali e regolare la prevenzione nel territorio amministrato.
I comuni hanno una competenza fortissima sul tema, emanano ordinanze sindacali per la pulizia dei fondi ma il problema è l’applicazione. Una buona parte degli incendi parte da luoghi esterni ai territori boscati. È necessario far rispettare le ordinanze per quei terreni privati limitrofi ad aree sensibili: boschi, beni pubblici, centri industriali e zone antropizzate. “Le aree che rappresentano un rischio maggiore vanno fatte ripulire con priorità assoluta ed è compito del sindaco”, puntualizza Carramusa.
A maggio il Prefetto di Palermo si era interessato a sensibilizzare i sindaci e gli enti per programmare gli interventi di prevenzione. A Sambuca, qualche giorno fa, sono state elevate sanzioni a privati che non avevano ripulito il terreno. Il procuratore di Sciacca Buzzolani ha indagato 21 persone a Menfi che non hanno ripulito i terreni.
“La Regione – propone Carramusa- potrebbe con una norma ad hoc prevedere un controllo sulle amministrazioni che non fanno rispettare le ordinanze o che non applicano il catasto degli incendi”.
“Le amministrazioni e gli operatori forestali sono tra quelli che più si adoperano per la prevenzione primaria e secondaria. Nonostante il mancato completamento di alcuni parafuochi, mezzi antincendio vetusti, carenza periodica di tute ed altri dispositivi di protezione antincendio e una scarsa propensione al miglioramento organizzativo e tecnologico”.
Sotto l’aspetto organizzativo, la vigilanza dinamica è una soluzione fattibile – secondo Caramusa – praticabile anche con il supporto tecnologico dei droni. “Eseguirla nei giorni più a rischio e nei siti più sensibili. Sorveglianza dei cantieri forestali sia a piedi che con i mezzi è un deterrente per i criminali”.
Ma per Carramusa in capo a tutte le possibili soluzioni vi è la creazione di un pool giudiziario “che si specializzi nei reati contro l’ambiente e negli incendi. E di una contestuale commissione parlamentare regionale d’inchiesta che diventi pure nazionale”.
Fonte: www.filodirettomonreale.it
Praticamente, Carramusa, in questo ""trattato"", ha affermato che ad appiccare incendi sono tutti... cani, porci e farisei,... naturalmente anche i forestali!!
RispondiEliminaQuindi, tutto chiaro...., evviva i """"sindacalisti"""", come lui, i forestali ne hanno tanto bisogno!!!
Giuseppe Spagnuolo.