I DATI
Crescono i debiti, le spese e i disoccupati
La Sicilia di Crocetta cola a picco
di Accursio Sabella
Il rendiconto appena approvato e il Documento di programmazione economico-finanziaria fotografano il disastro dei conti siciliani. E così, mentre nel resto d'Italia qualche indicatore inizia a migliorare, nell'Isola non c'è crescita, non c'è lavoro e persino il patrimonio di una Regione sommersa dai debiti non vale più nulla.
Nonostante gli sbandierati miracoli del governo Crocetta, infatti, le casse di Palazzo d'Orleans sono sempre più povere. Sempre più disastrate. E la “crisi di liquidità” di cui hanno parlato a più riprese i giudici contabili è solo l'aspetto esteriore di un malessere strutturale, profondo. Una malattia nei confronti della quale gli slogan del governo regionale hanno l'effetto dell'acqua fresca.
Anzi, la malattia della Sicilia, sotto certi aspetti, presenta nuovi e preoccupanti sintomi. Che emergono da documenti recenti. Da un lato, dal Documento di programmazione economico e finanziaria attualmente ancora provvisorio. Ma al quale stanno lavorando i singoli assessorati, insieme ovviamente alla Ragioneria generale. Dall'altro, dal rendiconto per l'esercizio finanziario 2014, recentemente approvato dall'Ars e che riporta alcuni degli allarmi sollevati dale Sezioni riunite della Corte dei conti in occasione del giudizio di parifica.
Aumentano i debiti, scendono le entrate
Per indicare le spie più allarmanti di un malessere lontano dalla guarigione, basta fare riferimento a due elementi: col governo Crocetta è quasi raddoppiato il debito complessivo della Regione, ormai giunto alla soglia degli otto miliardi di euro. Nel frattempo, continua a perdere valore il patrimonio dell'Isola. Come risulta del resto dall'ultimo rendiconto. Lì i dati sono preoccupanti e soprattutto tolgono il velo da una propaganda che in questi anni ha parlato di grandi risparmi e di sviluppo dell'Isola. Le entrate, infatti, sono scese addirittura di un miliardo e mezzo di euro rispetto al 2013. Un calo maggiore del 10 per cento, che si ridurrebbe di circa 3 punti percentuali se lo Stato riconoscesse all'Isole alcune poste (quelle, per intenderci, al centro di un contenzioso in atto tra Sicilia e Roma). Ma il tracollo sarebbe comunque evidente, anche perché accompagnato dall'aumento dei residui passivi e soprattutto... delle spese.
Crescono le spese. E la spending review?
E la spending review di Crocetta? Non c'è traccia nel rendiconto generale. Anzi. Tra il 2013 e il 2014 le spese sono aumentate della stesa cifra con la quale sono calate le entrate: un miliardo e mezzo. A dire il vero, la maggior parte di queste uscite sono legate a spese in “conto capitale”. Cioè investimenti. Quindi si tratta di spesa “buona”. Ma quella “corrente”. Quella, cioè, che il ciclone Crocetta avrebbe dovuto drasticamente ridurre, è tutta lì. Anzi è lievemente cresciuta anche nell'ultimo anno, di circa 60 milioni di euro.
"Il pressappochismo del governo - ha attaccato il capogruppo di Forza Italia all'Ars, Marco Falcone - si è evidenziato in sede di approvazione della legge di stabilità, quando il disavanzo 2014 è stato stimato in 1.755 milioni di euro, cioè circa 120 milioni in meno di quello reale che ammonta a 1.870. Ciò impone un'urgente manovra correttiva già nel prossimo settembre. Quella che emerge - ha concluso Falcone - è una fotografia veramente inquietante, contraddistinta dall'erosione dell'avanzo di amministrazione e dal depauperamento del patrimonio regionale che, per la prima volta nella storia, chiude in negativo".
Il patrimonio dell'Isola cancellato dai prestiti
E uno dei dati del rendiconto a preoccupare di più è proprio quello relativo al cosiddetto “Conto del patrimonio”. Per intenderci, il “tesoro” relativo ai beni della Regione. Tra il 2013 e il 2014 si è passati da un segno “più” di 2,2 miliardi a un segno “meno” di oltre 800 milioni di euro. La Sicilia, insomma, se dovesse vendere ciò che le appartiene, non solo non riceverebbe un euro, ma dovrebbe “cedere” anche i propri debiti. E il nodo è proprio lì, come emerge dal rendiconto. L'Isola in questi anni si è fortemente indebitata. Il debito oggi sfiora gli otto miliardi. “Il notevole incremento di mutui e prestiti obbligazionari – si legge sempre nel documento approvato dal'Ars due settimane fa – unitamente al ricorso alle anticipazioni di liquidità determina, quindi, sotto il profilo finanziario e patrimoniale un problema di sostenibilità del debito nel medio-lungo termine”.
Il Dpef tra incubi e speranze
Anche perché la Sicilia non sembra dare segnali di grande ripresa. Anzi, l'Isola, come denunciato anche da esponenti del governo Renzi, come nel caso del sottosegretario siciliano Davide Faraone, sembra andare a un'altra velocità rispetto al resto d'Italia. Non certo una novità. Ma la fotografia di una Regione in enorme affanno emerge anche dal Documento di programmazione economico-finanziaria al quale stanno lavorando gli uffici. Un documento ancora provvisorio, al quale i singoli assessori apporteranno modifiche fino a metà settembre, quando dovrebbe essere esitato in giunta. Un testo, a dire il vero, che prova a indicare le vie d'uscita dalla crisi della Sicilia. Soluzioni che possono essere sintetizzate nel ricorso ai fondi europei e nazionali, nella lotta all'evasione fiscale (che in Sicilia raggiungerebbe livelli ben più alti delle altre Regioni), nella previsione di nuove entrate (come la tassa di circolazione o i diritti di motorizzazione), nuovi tagli (per circa 200 milioni), vendita di parte del patrimonio immobiliare (per altri 150 milioni) e di partecipazione societarie e nella concertazione con lo Stato per il riconoscimento delle somme che lo Statuto siciliano destina all'Isola e finora trattenute da Roma.
La Sicilia in recessione (mentre l'Italia riprende a crescere)
Lo Stato, in realtà, quest'anno ha consentito alla Regione di chiudere il bilancio tramite l'autorizzazione all'utilizzo di fondi per gli investimenti (quelli del Fondo si sviluppo e coesione) per coprire i buchi di spesa corrente. Ma da questo esercizio finanziario non sarà più possibile. E nel Dpef si fa esplicitamente riferimento a questo problema che potrebbe essere il vero, insormontabile ostacolo per la chiusura del bilancio: “Lo sforzo – si legge nel Dpef - sarà quello di non utilizzare le risorse Fsc 2014-2020 per coprire il concorso al risanamento finanza pubblica, destinandole invece agli investimenti ed allo sviluppo dell’isola”. Anche perché l'Isola in questi anni non solo non è cresciuta. Ma ha peggiorato la maggior parte dei propri indici, come racconta sempre il Dpef non ancora ufficialmente approvato. A cominciare dal Pil. I dati raccolti nel Dpef raccontato di una Sicilia ancora in piena recessione. L'indice di ricchezza, infatti, ha fatto segnare nell'ultimo periodo del 2014 un calo del due per cento: cinque volte peggio della media italiana. E mentre l'Italia nel 2015 dovrebbe uscire finalmente da una spirale negativa che va avanti da quattro anni, la Sicilia si troverà ancora con un segno “meno” sulla crescita (le stime parlano di un -0,4%).
Altro che sviluppo: crollano occupazione ed esportazioni
E lo sviluppo? E la crescita? A parte i dati incoraggianti provenienti solo dal settore del Turismo (aumento delle presenze e delle visite) non c'è traccia, nemmeno nei documenti del governo regionale, di elementi che indichino qualche appiglio all'ottimismo. Se si esclude un vago riferimento a un aumentato “clima di fiducia dei consumatori”.
Nello stesso Dpef si racconta infatti che anche “la domanda estera – si legge nella bozza del Dpef - segna una ulteriore battuta di arresto in un contesto in cui tale voce continua a rappresentare un fattore rilevante per le prospettive di ripresa dell’economia italiana. In Sicilia, i flussi commerciali verso l’Estero nel 2014, pari a circa 9,6 miliardi di euro, hanno registrato una flessione del 13,9% rispetto al 2013, a fronte di una crescita nazionale del 2,0 per cento. Nello stesso tempo, le importazioni, pari a circa 17,4 miliardi, si sono ridotte del 13,1% contro una flessione dell’1,7 per cento nel resto del paese”. Un disastro economico-finanziario evidente. Che si traduce, ovviamente, sul piano dell'occupazione. Anche in questo caso, la Sicilia sembra arrancare rispetto al resto d'Italia. E lo ammette lo stesso governo regionale: “Nel 2014, - si legge nel Dpef - con 1 milione e 322 mila occupati, la Sicilia ha registrato un calo di 13 mila unità rispetto all’anno precedente (-1,0%) mentre per l’Italia nel suo complesso si è avuto un aumento di 87 mila (+0,4%). Rispetto alla popolazione in età di lavoro, il tasso di occupazione regionale è stato del 39,0% (Italia 55,7%), manifestando una flessione di tre decimi rispetto al 2013”. Altro che rivoluzione. Scendono le importazioni, l'Isola non cresce e mentre nel resto d'Italia aumentano le assunzioni, in Sicilia i posti di lavoro continuano a ridursi, a scomparire. E in effetti, lo stesso Dpef mette nero su bianco il fatto che la situazione potrebbe persino peggiorare: “Nei dati più recenti (1° trimestre 2015), si conferma la fase recessiva per la Sicilia, con i suoi effetti di riduzione del tasso di occupazione al 38,7 per cento, contro il 39,2 dello stesso periodo dell’anno precedente”. Negli ultimi anni, insomma, la Sicilia si è sempre più impoverita, nonostante le diverse ricette, i tanti assessori, i diversi governi varati dal presidente della Regione. “In Italia, per il 2014, - si legge nella bozza del Dpef - la stima dell’incidenza della povertà relativa tra le famiglie, valutata da Istat, è pari al 10,3% (2,6 milioni di nuclei); in Sicilia il valore dello stesso indicatore è 25,2% (511 mila famiglie), in aumento rispetto al 24,1% del 2013”. Povera, sempre più povera Sicilia.
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