22 giugno 2014

PARCO ARCHEOLOGICO DI SELINUNTE. ABBIAMO IL DOVERE DI PROTEGGERE LE AREE DAGLI INCENDI, QUEST'ANNO A DIFFERENZA DI QUELLO PASATO, NON POSSIAMO CONTARE SULL'ACCORDO FORESTALE. LA CULTURA DEL TURISMO IN ITALIA? SIAMO STUFI DELLE PAROLE SE I FATTI SONO QUESTI


La visita archeologica? Munirsi di pannolone
e col rischio di ferirsi tra erba, arbusti, vipere



Mariza D'Anna
Marsala. Non ci sono i soldi per la pulizia dei servizi igienici del Museo archeologico lilybeo, dove è custodita la nave punica trovata dall'archeologa inglese Honor Frost, né ci sono i fondi per la diserbatura e la pulizia delle aree del costituendo Parco archeologico. E così Museo e area archeologica di ventotto ettari, meta quotidiana di turisti, sono destinati a chiudere. Una vicenda che accomuna Marsala con molte altre realtà siciliane - Selinunte, Segesta, per non parlare del Museo regionale Pepoli e delle sedi della Sovrintendenza di Trapani, dove la pulizia dei servizi igienici non è garantita da diverse settimane ed è stato chiesta anche ai dipendenti una turnazione d'emergenza - ma che qui rischia di precipitare. La questione sembrerebbe sempre la stessa: la Regione non ha ancora approvato il bilancio e non ci sono i fondi da destinare ai servizi, ma l'incuria e l'abbandono dei siti archeologici non è argomento di oggi.
 
Anni fa, fece sorridere la notizia che le pecore pascolavano in lungo e in largo dentro il Parco di Selinunte, il più grande d'Europa, nella speranza che quello che l'uomo non riusciva a garantire, lo facessero gli animali brucando le erbacce che proliferavano nella stagione estiva. Paradossi siciliani di una politica che ha guardato ai beni culturali con grande disattenzione, anche quando i finanziamenti non si dovevano centellinare.
A Marsala, emblema dell'attuale sfacelo, dal primo maggio la pulizia dei servizi igienici del Museo non è garantita. La direttrice Maria Luisa Famà è stata costretta prima a chiuderli al pubblico e ha ricevuto le proteste di turisti e visitatori; poi li ha riaperti senza poterne garantire l'igiene, ed è stata accusata di «cattiva accoglienza»; poi, con il sostegno dei volontari dell'Associazione Amici del Parco archeologico lilybeo che si è fatta carico della pulizia, li ha riaperti per qualche tempo. Ma ora che anche i soldi dei privati sono finiti, li deve richiudere. Tre solleciti alla Regione non sono stati sufficienti a risolvere la questione che sembra di poco conto, ma non lo è. «A questo punto non mi resta che chiedere l'autorizzazione al dipartimento regionale di chiudere il Museo, perché così non possiamo andare avanti - dice Maria Luisa Famà al telefono, costretta a casa da una frattura al polso -. Il 13 maggio ho inoltrato un secondo sollecito e in questi giorni il terzo, ma senza ottenere alcuna risposta».
Nel mese di luglio quindi, quando l'affluenza turistica sarà al picco, si chiude tutto. In barba ad un turismo che dovrebbe avere i siti archeologici come attrattiva principe dopo il mare delle Egadi. «L'anno scorso sono stati incassati 61mila euro di biglietti: non sono pochi - riprende la Famà -. Siamo tra le top ten della Sicilia, ma in queste condizioni che cosa possiamo fare? ». Ma non è solo il Museo, ex Baglio Anselmi, a soffrire: l'area del Decumano Massimo, la strada romana (lunga 110 metri e larga 9,20), la villa romana, le terme sono immerse in un mare di erbacce e di arbusti. Inavvicinabili anche per il più temerario dei turisti. Non si fa la pulizia da molto tempo, e se in questi mesi in parte si è provveduto utilizzando una ditta che lavorava per la valorizzazione di alcune zone, adesso che il cantiere è chiuso, tutto è tornato come prima. L'area è assolata, desolata e desolante, gli arbusti s'incuneano tra le pietre e rischiano di creare danni, i cartelli che indicano i siti sono arrugginiti e non più decifrabili, qualcuno teme anche che le vipere, soprattutto di questi tempi, possano improvvisamente saltare fuori. «Il problema della conservazione dei beni archeologici è molto serio - incalza la direttrice - le strutture si vanno indebolendo e rischiano di spaccarsi».
E allora un cartello che sa di monito davanti al Parco (che Parco ancora non è perché attende l'autorizzazione alla nuova perimetrazione inviata al dipartimento regionale sei mesi fa, ma non essendo operativo da due anni il Consiglio regionale dei Beni culturali, e non avendo gli assessori pro tempore preso alcuna decisione, il provvedimento tarda ad arrivare) avverte il visitatore che «l'area è sporca e abbandonata». Può visitarlo ma a suo rischio e pericolo.
Come se non bastasse, la questione si è complicata quando il Comune di Marsala il 16 marzo dell'anno scorso ha firmato una convenzione per ottenere l'apertura di un altro ingresso dell'area archeologica perché il sindaco Giulia Adamo voleva restituire alla città, gratuitamente, la passeggiata storica che da Porta Nuova attraversa il Parco, con l'impegno però di assicurare la pulizia e la diserbatura a spese del Comune. Detto, ma non fatto. Il passaggio è stato aperto, ma non si è provveduto al corrispettivo della pulizia; a marzo è stato effettuato un timido e non sufficiente intervento e la direzione del Parco ha deciso di richiudere l'ingresso. «Ho dovuto farlo - riprende Maria Luisa Famà -. Così si veniva a creare un danno per l'Erario». In virtù di un'altra convenzione che doveva prevedere una sinergia tra le istituzioni e cercare di sopperire alle manchevolezze della Regione, al Comune (dal dicembre 2013) viene versato il 30 per cento degli incassi dei biglietti, vale a dire oltre 20mila euro. Come sono stati utilizzati i soldi? Il sindaco Adamo, recentemente, volendo tagliare la testa al toro, aveva avanzato la proposta che fosse l'Amministrazione comunale a gestire direttamente i siti archeologici. Un'ipotesi molto complessa e di difficile attuazione. «Al di là della sua improbabile fattibilità - spiega il presidente dell'Associazione Amici del Museo, Nino Alabiso - dato che essi fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione che sostiene gli oneri economici del personale e altri notevoli costi, il Comune dovrebbe a maggior ragione provvedere e non abbandonare al degrado i luoghi che sono tra i primi dieci siti turistici visitati della Regione». Stesse considerazioni e stesso degrado valgono per le diverse aree archeologiche che restano inglobate nella città, recintate da tempo ma abbandonate e rese inaccessibili dall'incuria.
E meglio non sta il Parco archeologico di Selinunte, 270 ettari nei quali si cerca di garantire almeno la pulizia delle zone frequentate dai visitatori, nelle aree vicino ai templi, nella collina orientale e in parte nella zona dell'acropoli. «Siamo in emergenza - dice il direttore del Parco, Giovanni Leto Barone -: cerchiamo con il Comune di fare i piccoli interventi ma possiamo garantirli ancora per poco, fino alla fine di luglio. Poi avremo anche il problema del personale che non potrà essere utilizzato la domenica e nei festivi, perché non c'è la copertura finanziaria. Anche noi siamo a rischio chiusura. E abbiamo il dovere di proteggere le aree dagli incendi ma quest'anno, a differenza di quello passato, non possiamo contare neppure sull'accordo con l'Azienda forestale che ci garantiva un aiuto perché non ha personale che possa intervenire». Conclude la direttrice Famà: «La cultura volàno del turismo in Italia? Siamo stufi delle parole se i fatti sono questi».

 21 Giugno 2014


Quest'anno ai turisti con pochi euro offriamo un bel souvenir.
Nei siti archeologici la pulizia è assicurata non con i forestali, ma bensì con le pecore e le capre. 
I turisti avranno un motivo in più per visitare i tesori artistici siciliani.  Ci sono diversi pacchetti, quello che va a ruba è il pacchetto fotografico, una foto formato tradizionale 10x15 con la capretta 3,00 euro, due foto 5,00 euro, con o senza le corna. Un calendario con il gregge di pecore 6,00 euro, due 10,00 euro. 



L'insolita scenetta è stata catturata dall'obiettivo fotografico di un lettore di Livesicilia, Claudio Cangialosi. 

 









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