di Rosario Battiato
Entro il 2030 gli Stati membri dovranno raggiungere il 35% di energia pulita, l’Isola stenta e tira il freno all’Italia. Nella regione un terzo della produzione lombarda e manca il Piano per i fondi europei
PALERMO – Puntare a una riduzione costante e decisa delle fonti fossili. Gli obiettivi Ue con vista sul 2030, approvati dal Parlamento comunitario nelle scorse settimane e oggetto di future trattative con gli Stati membri, sono sempre più ambiziosi: 35% di risparmio energetico, una quota minima pari almeno al 35% di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia e una quota del 12% di energia da fonti rinnovabili nei trasporti.
Per i trasporti, in particolare, diventano determinanti i biocarburanti di ultima generazione, perché il peso di quelli di “prima generazione” (composti da colture alimentari e da mangimi) dovrà essere “limitato ai livelli del 2017 con al massimo il 7% del trasporto stradale e ferroviario”. I deputati vorrebbero anche vietare l’utilizzo dell’olio di palma a partire dal 2021. Prevista anche l’implementazione, entro il 2022, delle stazioni di ricarica per i veicoli elettrici: il 90% delle stazioni di rifornimento lungo le strade delle reti transeuropee dovrà esserne dotato.
Numeri ambiziosi per un territorio, come quello isolano, che già fatica a tenere fede agli obiettivi previsti per il 2020, che sono stati sanciti per le regioni nel decreto burden sharing, il provvedimento che assegna le differenti quote di consumo verde per concorrere all’obiettivo nazionale.
La Sicilia, infatti, cresce meno degli altri – dicono dall’Osservatorio dell’Energia – e soprattutto fatica ad avviare una vera filiera energetica in grado di utilizzare gli scarti agricoli e forestali, e anche i rifiuti, per la produzione di energia.
A bloccare l’iter contribuiscono politica e burocrazia – manca ancora il Pears aggiornato e i tempi per esaminare le pratiche di autorizzazione per gli impianti sono decisamente più lunghi di quanto previsto dalla legge – ma anche i cittadini: nel 2016 registrati ben 26 casi da “nimby” sul territorio isolano.
1. In Sicilia meno di un terzo della produzione lombarda
Nei giorni scorsi il Gestore dei servizi energetici ha diffuso il rapporto statistico sull’energia da fonti rinnovabili in Italia, con i dati 2016, gli ultimi disponibili, aggiornando la versione rilasciata nel dicembre scorso.
Nell’Isola ci sono complessivamente 44.683 impianti, soprattutto di solare, per una potenza complessiva di 3.287,2 MW, cioè il 6,4% del totale nazionale. Non va meglio sul fronte della produzione che arriva a 5.184,8 GWh, cioè il 4,8% del totale nazionale.
La Sicilia produce quanto la Calabria, la metà della Puglia (9,4%) e un terzo della Lombardia (15,1%). In generale i dati sono in crescita – nel 2015 4.912,6 GWh registrati (4,5% della produzione nazionale da fonti rinnovabili) – ma le altre, evidentemente, crescono molto di più. Il punto di forza resta sempre l’eolico (3.058 GWh), dopo la Puglia il miglior dato d’Italia, mentre il solare (1.744,4) è superato da altre quattro regioni (Lombardi, Veneto, Emilia Romagna e Puglia).
2. Il grande vuoto: qui solo l’1% degli impianti di bioenergia
Il passo del gambero: nel 2016 le biomasse in Sicilia hanno prodotto 145 GWh di energia elettrica, cioè circa il 2% del totale nazionale. Un dato che è risultato addirittura in controtendenza rispetto all’anno precedente, quando la produzione si era assestata a 152,9 GWh.
Poco altro da registrare anche sul fronte del geotermico – c’è solo Toscana con 6.288,6 GWh, più dell’intera produzione rinnovabile isolana – dei bioliquidi (3,8 GWh, inferiore all’1% del totale nazionale) e del biogas (91,1 GWh, 1,1% del totale nazionale).
Nel complesso le bioenergie isolane (biomasse solide, biogas e bioliquidi) che derivano da rifiuti, fanghi, biomasse, attività agricole e forestali, oli vegetali grezzi, hanno riguardato 33 impianti, 3 in più del 2015, ma sono complessivamente soltanto l’1,2% del totale nazionale (25,6% in Lombardia).
La produzione isolana vale complessivamente 239,9 GWh, cioè poco più dell’1% a livello nazionale: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto assieme superano la metà del dato nazionale.
3. Dalla geotermia al biogas, le occasioni perse
La geotermia, l’energia generata dallo sfruttamento del calore naturale della Terra, offre in Italia risorse disponibili e un avanguardia mondiale come la Toscana. In Sicilia ci sono soprattutto occasioni sprecate – ad esempio per lo sfruttamento della geotermia a bassa entalpia per la produzione di energia termica – e poca azione. L’esempio virtuoso è l’impianto geotermico a bassa entalpia a Palazzo dei Normanni, sede dell’Ars, per il raffrescamento e il riscaldamento degli ambienti. Per il resto, niente si muove. Restano nell’ombra anche tutte le opportunità che potrebbero derivare dai prodotti di scarto che oggi finiscono in discarica o abbandonati. Nei giorni scorsi Musumeci ha confermato di non voler puntare, almeno per il momento, sui termovalorizzatori, ribadendo la volontà di lanciare gli impianti per la produzione di biogas. Quest’ultimo si ottiene dalla digestione anaerobica di biomasse agro-industriali (sottoprodotti agricoli, zootecnici, frazione organica dei rifiuti) e permette di ottenere anche il biometano tramite un processo di ‘upgrading’. Ma servono soprattutto i piccoli impianti: ricerche di Althesys e uno studio condotto dal professore Biagio Pecorino del dipartimento di Agricoltura dell’Unict hanno stimato la possibilità di arrivare a investimenti compresi tra 1,2 e 1,5 mld e impegnare circa 3 mila occupati, permettendo una produzione di 560 mln di m3 di biometano all’anno, l’8% del potenziale nazionale.
4. Non è scetticismo: l’Isola cresce meno
Non bisogna lasciarsi ingannare dai numeri d’insieme. La Sicilia ha, infatti, raggiunto gli obiettivi annuali di burden sharing per il 2016, cioè la quota di incremento di energia rinnovabile nei vari settori (elettrico, termico e trasporti) richiesta alle regioni per concorre agli obiettivi nazionali nell’ottica delle scadenze Ue previste per il 2020. L’avanzamento isolano, tuttavia, registra “la minor crescita di consumi da fonti rinnovabili, tanto che si colloca al quartultimo posto”, riporta l’Osservatorio regionale dell’Energia dell’assessorato, sottolineando, inoltre, che l’attuale avanzamento potrebbero portare a una possibile crisi sulle previsioni del 2020.
Resta ancora un’incognita anche il Pears, il Piano Energetico Ambientale della Regione Siciliana, che dovrà appunto coordinare il settore energetico e contestualmente indirizzare in maniera programmatica il nuovo ciclo della Programmazione Comunitaria 14-20 (un quarto della dotazione complessiva di 4,5 miliardi è destinato all’energia).
5. La strategia della Regione per recuperare terreno
Nelle scorse settimane Domenico Santacolomba, responsabile del servizio “Pianificazione e programmazione energetica” del dipartimento dell’Energia della Regione siciliana, ha espresso al QdS quelli che sono i punti fondamentali dell’azione della Regione in rapporto ai nuovi Fondi Ue 2014-2020 sul tema.
La programmazione prevede di innalzare i livelli di produzione di energie rinnovabili e, a tal proposito, sono state fissate speciali linee di intervento, all’interno del Po Fesr, finalizzate allo sviluppo di piccoli impianti per la produzione di energia da biomassa da realizzare in filiera corta.
Un passaggio essenziale perché occorre mettere assieme una strategia d’insieme in grado di portare la Regione al raggiungimento degli obiettivi di produzione di energia, di efficienza energetica e di riduzione di gas climalteranti entro i prossimi tre anni.
6. La sindrome del Nimby: energimpianti nel mirino
Nel 2016 ci sono state ben 359 infrastrutture e impianti oggetto di contestazioni ambientali in tutta Italia. Lo rivela l’Osservatorio media permanente Nimby Forum, database nazionale che dal 2004 monitora la situazione delle opposizioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto. Il dato è in aumento del 5% rispetto all’anno precedente.
Il settore più criticato in assoluto è stato quello energetico, più della metà del totale (56,7%), che comprende gli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti fossili e rinnovabili, ed il trattamento rifiuti (37,4%). In quest’ultimo ambito rientrano anche gli impianti per la raccolta e lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali, le discariche, i termovalorizzatori e gli impianti di compostaggio. Nel settore energetico gli impianti da rinnovabili costituiscono il 75,4%, un dato dettato dall’elevata presenza rispetto a quelli alimentati da fonte fossile o tradizionale.
La distribuzione regionale del Nimby registra una maggiore concentrazione nel Nord Italia (41%), con Lombardia ed Emilia Romagna che mantengono i primi posti, rispettivamente 56 e 48 impianti contestati, ma c’è anche la Sicilia che con 26 impianti si prende circa il 7% delle contestazioni nazionali.
27 gennaio 2018 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: www.qds.it
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