Si deve incidere sulla complicità politica-apparati di potere
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi
Giuseppe Giarrizzo
Sento ora da Renzi il nuovo annuncio: è dietro l'angolo la riforma madre, quella della Pubblica amministrazione. Non ci sono per il momento dettagli: dobbiamo aspettarci, si dice, una riduzione degli effettivi, sforbiciate degli stipendi di vertice, cancellazione dei premi ai dirigenti e mobilità territoriale.
I nostri sindacati minacciano scioperi e lasciano capire che si può fare a meno della concertazione (e degli immancabili tavoli), non delle tutele che l'uomo comune chiama da tempo privilegi dovute alle "altissime" competenze del pubblico impiego.
Non vale commentare siffatte proteste e minacce, dal momento che non poche responsabilità del presente degrado, della incompetenza e bassa produttività del pubblico impiego vanno imputate alle "complicità sindacali". Ma bisogna dire che le misure oggi anticipate sembrano rispondere all'opinione volgare, non certo aggredire il male nella radice: e la radice è nella consolidata complicità tra la politica e gli apparati del pubblico potere: donde lo scandalo dei "premi" non dovuti, la crescita fuori controllo delle assunzioni e dei contratti, la docilità alla corruzione in tutte le forme (tolleranza dei conflitti di interesse, tangenti, fondi neri, gestione degli appalti, sprechi per dilapidazione di risorse o destinazione a progetti inutili, assenza d'ogni regola, ecc).
E l'elenco è confinato ai primi titoli. Se n'era accorto persino Enrico Letta, quando si compiaceva ad opporre la pubblica moralità dell'Europa continentale all'"immoralismo" dell'Europa mediterranea. Ma può un ceto politico, forse il pessimo della storia unitaria del Paese, confidare nel successo di una politica di rifondazione dei valori dello Stato moderno, e con pratiche di buon governo di rigenerazione della moralità perduta? I dubbi appaiono fondati ed estesi.
E i dati non vengono da analisi interne alla struttura, o dalle statistiche di terza o quarta mano dell'inutile Istat: vengono dalle inchieste della magistratura penale, cui a tratti concorre la sonnambula Corte dei Conti, ed in materia di formazione, assistenza e previdenza, speculazioni fiscali e bancarie, pubbliche competizioni e/o certificazioni per le quali la scuola (università compresa) ha pagato e continua a pagare il prezzo più alto.
Ritocchi, piccoli aggiustamenti certo, ma non chiamateli riforme. Non basta cancellare o modificare un istituto, quando non si incide sul contesto. Da vecchio socialista, non ho certo dimenticato che l'abolizione delle Province (disposta, anche se non attuata, da un'articolo dello Statuto della Regione Siciliana), quando Regioni e nuove articolazioni territoriali erano solo idee, fu voluta per giustificare l'abolizione nella Sicilia nuovissima dei prefetti. Apprendo che l'istituto è ora in fase di cancellazione: e i prefetti e i questori (territorio e poteri)? Ignoriamo da chi o che si almanacca per superarli.
Questo, del governo di un territorio "difficile" e degradato è forse il luogo elettivo per ogni seria riforma anche della pubblica amministrazione, e del pubblico potere centrale o locale: beni culturali e turismo lo presuppongono.
E' facile sostenere che al presente non si vedono né fatti né idee: aspetto smentite. Per quel che vedo, siamo alle solite "furbate": tra Protezione civile, forestale e Sovrintendenze, poverissima, a volte assente del tutto, è la competenza tecnica e culturale.
Tra le vecchie/nuove proposte, c'è quella del prepensionamento di dipendenti pubblici per far largo ai giovani. Ma siamo certi che le scuole superiori, e pubbliche e private, abbiano in questi ultimi trent'anni curato la formazione? Ricorreremo, come si è fatto, ai quiz per selezionare dai giovani il nuovo esercito del pubblico impiego? Cosa è possibile fare con il materiale umano disponibile dopo il cinico genocidio di cinque o sei generazioni di "giovani"? Quanti dei documenti-progetto son brutte traduzioni dall'anglo-americano di analisi e fututibili? Non deve far scandalo il fatto che anch'io ho denunciato, che la relazione Anvur, pubblicata poche settimane fa, copra lo stato della nostra ricerca - dentro e fuori dell'università - per il quinquennio 2006-2010, con sofisticate statistiche di seconda o terza mano, e ciò per far da premessa a valutazioni, correzioni, premi relativi al periodo 2015-2020?
E' come la diagnosi di mali acuti del nostro presente organismo fondata su dati prognostici di cinque o dieci anni fa. E visto che quei numeri sono base della politica di allocazione territoriale di ricerca per il prossimo triennio, il Cun e la Crui non hanno niente da dire? E la ministro viaggia, promette e... tace su limiti e i pasticci dei propri apparati. E' pubblica amministrazione pur questa,
E chiamatele riforma...
29 Aprile 2014
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