05 marzo 2020

EURISPES,“LA SICILIA È DISSIPATRICE? SONO SOLTANTO FAKE NEWS: È LO STATO A SOTTRARRE RISORSE ALL’ISOLA”. CONTI IN ROSSO DELLA REGIONE? COLPA DEL CONTRIBUTO DOVUTO A ROMA PER IL RISANAMENTO DEI CONTI PUBBLICI NAZIONALI


Dal sito qds.it

Patrizia Penna 05 Marzo 2020
“Iva e Irpef, nell’Isola mancano all’appello ben sette miliardi di euro. Conti in rosso della Regione? Colpa del contributo dovuto a Roma per il risanamento dei conti pubblici nazionali”. L'Osservatorio sul Mezzogiorno dell'Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali fondato e presieduto da Gian Maria Fara, a gamba tesa sulla questione meridionale: "No a cittadini di serie A e di serie B"
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“Ottocentoquaranta miliardi. Quante cose si possono fare con 840 miliardi di euro? Quante se ne sarebbero potute fare in dieci anni nelle regioni martoriate del Meridione?”. È passata quasi in sordina qualche giorno fa la pubblicazione del Rapporto annuale da cui emerge che 840 miliardi sarebbe la somma sottratta al Sud a partire dal 2000 e fino al 2017.
Ieri l’Eurispes è entrato di nuovo a gamba tesa sulla cosiddetta “Questione meridionale” e lo ha fatto attraverso le parole di Saverio Romano, Presidente dell’Osservatorio sul Mezzogiorno: “Sulla distribuzione delle risorse in Sicilia e nel Sud – ha detto Romano – sulle politiche fiscali adottate negli ultimi decenni, sugli investimenti che non sono stati mai fatti in infrastrutture materiali e immateriali, sulle disparità perpetrate ai danni dei cittadini del Meridione, su uno Stato che nei confronti della Sicilia ha sempre avuto un braccio lungo nel prendere e uno corto nel dare. Va fatta una definitiva operazione verità, presupposto essenziale per invertire la rotta e per togliere argomenti falsi ai detrattori del Mezzogiorno”.

Con una dura presa di posizione, Romano ha precisato che non è più accettabile che lo Statuto siciliano venga disatteso e che vi siano cittadini di serie A e cittadini di serie B: “Occorre – ha spiegato in una lunga nota – reintrodurre, per legge, il principio secondo il quale chi produce in Sicilia, anche se ha sede legale fuori da essa, pro quota di produzione deve pagare le tasse in Sicilia! Lo Stato centrale, al di là dei governi e del loro colore, dimostri coi fatti che non ci sono cittadini di serie A – quelli del Centro-Nord – e cittadini di serie B – quelli da Roma in giù, Isole comprese”.

I conti in rosso della Regione siciliana, in perenne crisi di liquidità, secondo Romano sono dovuti, come certificato anche dalla Corte dei Conti, oltre che alla recessione anche al contributo dovuto allo Stato dalla Regione per partecipare al risanamento dei conti pubblici nazionali, “un contributo pro capite nel 2015 pressoché quadruplo rispetto a quello di Emilia Romagna, Toscana o Veneto e secondo solo alla Lombardia, dal Pil però enormemente più grande di quello della Sicilia”.

“Con una mano lo Stato concorre alla spesa sanitaria dei siciliani – ha detto Romano – trasferendo alla Regione 2,4 miliardi l’anno, e con l’altra se ne riprende il triplo trattenendo per sé imposte che spetterebbero alla Sicilia. Per di più, dall’1 gennaio 2017, la fetta che lo Stato preleva dell’Iva pagata dai siciliani è aumentata dal 50% circa (alla Regione ne spetterebbe il 100%, ai sensi dell’art. 36 dello Statuto) addirittura al 63,6%, lasciando così alla Sicilia solo il 36,4% di quell’Iva frutto del lavoro e del patrimonio dei siciliani (da essi versata nel fare acquisti)”.

Secondo l’Osservatorio per il Mezzogiorno di Eurispes sarebbero state proprio le legittime entrate negate all’Isola dallo Stato e lo sproporzionato carico di spese lasciatole sulle spalle a produrre debiti per 9 miliardi che la Regione è stata costretta a fare per chiudere i bilanci.
Ma con chi ha contratto debiti?
“Con lo Stato stesso, per mezzo della Cassa Depositi e Prestiti. Così, con una mano le viene prestato a interesse ciò che con l’altra le è stato sottratto. Quello che poi la Cassa Depositi e Prestiti presta alla Sicilia sono i risparmi postali che anche le famiglie e soprattutto i pensionati siciliani hanno concorso a generare. In altre parole, lo Stato presta ai siciliani i “loro” soldi, traendovene profitto tramite interesse”.

Alla disastrosa situazione finanziaria della Regione avrebbe contribuito anche l’averle imposto per due volte, in soli cinque anni, la rinuncia all’intero ricavato proveniente dalle cause vinte contro lo Stato, presso la Corte Costituzionale, e di obbligarla addirittura ad azzerare tutti i residui attivi che lo Stato le doveva. Tali pagamenti, che per paradosso era lo Stato a dover erogare, sono stati ritenuti dallo Stato stesso inesigibili”.

“Il degrado indotto – ha concluso Romano – e continuamente rinnovato dal depauperamento e dall’incessante emorragia di risorse è terreno di coltura per la mafia e per l’illegalità che, contrariamente a quanto si pensi, sono conseguenza e non causa prima dell’arretratezza (ciononostante la Sicilia non si caratterizza per i più alti livelli in Italia d’illegalità economico-amministrativa; piuttosto si vede superare in questo da ben tre Regioni del Nord)”.

“Va sfatato un altro mito: quello del numero spropositato di dipendenti pubblici in Sicilia. I dati del censimento Istat 2016 indicano che la Regione ‒ in base alla media dei dati disponibili sul 2011 e 2015 ‒ risulta ottava in Italia per quantità totale di impiegati pubblici pro capite. Mentre, la prima posizione in classifica è occupata dalla Valle d’Aosta, la seconda dalla Provincia Autonoma di Bolzano, la terza dalla Provincia Autonoma di Trento, la quarta dalla Sardegna e la quinta dal Friuli-Venezia Giulia. Facilmente poi si cade nell’errore di mettere a confronto il numero di dipendenti pubblici delle altre Regioni italiane (a statuto ordinario) con quello della Regione Sicilia, trovando quest’ultimo più elevato di quello delle altre. In realtà, va tenuto presente che compiti e funzioni altrove affidati ai dipendenti dello Stato, in Sicilia sono propri degli stessi dipendenti della Regione”.

L’allarme lanciato da Ance Sicilia: “Per consentire alla Sicilia
di diventare competitiva servono più investimenti in infrastrutture”

“Per consentire alla Sicilia di diventare competitiva e attrattiva per gli investimenti servono più stanziamenti per le infrastrutture, dall’Alta velocità all’inserimento effettivo nel Corridoio Scan-Med, dalla logistica portuale al miglioramento delle strade”.

Lo afferma l’Ance Sicilia secondo cui, però, occorre anche un poderoso sforzo di potenziamento amministrativo, di dotazione di strumenti tecnici e di formazione del personale delle stazioni appaltanti per evitare che, come accaduto finora, buona parte delle gare venga aggiudicata con insopportabile lentezza.
Proprio oggi alle ore 10,30, presso la sede di Ance Palermo, a Palazzo Forcella De Seta, al numero 21 del Foro Umberto I, il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci e l’assessore regionale alle Infrastrutture, Marco Falcone, incontrerà il sistema imprenditoriale di Ance Sicilia.

Gli imprenditori edili siciliani puntano l’indice, in particolare, sugli iter infiniti che rallentano o bloccano le aggiudicazioni delle gare d’appalto.
“è pur vero – spiega l’Ance – che in Sicilia nel 2019 ci sono state più gare che in passato, che per quelle pubblicate sulla Gazzetta ufficiale della Regione siciliana le aggiudicazioni fra il 2018 e il 2019 sono salite dal 38 al 52,51%, che gli Urega hanno quadruplicato le loro performance aggiudicando il 70% degli incanti (dal 17,65% del 2017); ma, in generale, restano sempre troppo poche le gare che arrivano a conclusione in tempi accettabili”.

L’Osservatorio annuale delle costruzioni, elaborato dall’Ance Sicilia, indica che nel 2019, grazie all’impegno del governo Musumeci, i bandi di gara di competenza regionale pubblicati sulla Gazzetta ufficiale sono saliti a 228 (+4,11%) per 357 milioni di euro (+24,02%) rispetto ai 219 per 288 milioni del 2018; ma, a confronto con i livelli pre-crisi, il calo dal 2007 è del 71,81% per numero di bandi e dell’81,58% per importi proposti al mercato. Meno positivo è il risultato se si sommano anche i bandi di competenza di Stato e sue Partecipate: in tutto sono stati pubblicati 1.413 avvisi (+0,43%) anche se di importo maggiore (1,79 miliardi, +28,40%).

Il presidente di Ance Sicilia, Santo Cutrone, ribadisce che “occorre investire molto di più in opere pubbliche, ma non basta stanziare fondi e bandire gare d’appalto, se poi la macchina burocratica non è efficiente e i cantieri non si aprono”.

In proposito, l’Osservatorio dell’Ance Sicilia evidenzia i progressi fatti, così come il tanto che manca. Nel periodo 2018/2019, su 219 gare di competenza regionale per 288 milioni, ne sono state aggiudicate nei sedici mesi successivi solo 115 per 184 milioni, con una perdita per il mercato di 104 milioni. Guardando poi alle 1.407 gare bandite complessivamente nel 2018 da Stato, aziende pubbliche, Regione ed enti locali per 1,4 miliardi di euro, ben 1.200 gare, l’85,28%, per 1,14 miliardi non risultano aggiudicate nei sedici mesi successivi. Dal 1999 al 2018 sono 5.877 le gare pubblicate sulla Gurs per 6 miliardi e 91 milioni di cui non risulta l’aggiudicazione nei sedici mesi successivi.

“In più si pensi – aggiunge Cutrone – che ci sono altri 5 miliardi stanziati per opere cantierabili censite da Ance Sicilia e che da anni non vengono appaltate”.

Cutrone lancia l’allarme anche alla luce dei recenti annunci del governo nazionale relativi alle infrastrutture del “Piano per il Sud 2030” e alle opere che saranno sbloccate dai provvedimenti economici per fronteggiare l’emergenza coronavirus: “Spero che una maggiore qualificazione e competenza delle stazioni appaltanti – conclude il presidente di Ance Sicilia – e un controllo dei loro risultati, come quello attuato dal governo regionale sugli Urega, possano contribuire a migliorare l’attuale stato dell’edilizia siciliana, considerato che a fine 2019 il comparto ha visto appena 1.786 imprese attestate Soa, con una perdita nell’ultimo anno di altre 53 importanti realtà produttive”.

Fonte: qds.it







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