Una foto d’archivio della Foresta amazzonica dopo l’ennesimo incendio
Notizia segnalata da Salvino Carramusa, Pioppo - Monreale (Pa)
Dal sito www.lastampa.it
MARIO TOZZI - 04 Marzo 2020
Per prenderci cura della nostra salute dobbiamo iniziare a difendere il pianeta
Se c’è una cosa che oggi non vogliamo proprio sentirci dire è che anche questa epidemia da Covid-19 dipenda dalle azioni scriteriate dei sapiens ai danni dell’ambiente. Ma, forse, dobbiamo iniziare a ricrederci, e riconsiderare anche altri casi recenti, come Ebola, Sars e Zika, ma pure H1N1 e Mers.
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In secondo luogo, i cambiamenti di uso del suolo e l’intensificazione degli allevamenti intensivi, specialmente in regioni cruciali per la biodiversità, sono fattori che intensificano i rapporti sapiens-fauna domestica-fauna selvatica. Di particolare gravità è la deforestazione, necessario preludio a queste attività, come dimostra il caso del virus Nipah, comparso in Malesia nel 1998, e probabilmente legato all’intensificarsi degli allevamenti intensivi di maiali al limite della foresta, dove cioè si disboscava per ottenere terreni a spese dei territori di pertinenza dei pipistrelli della frutta, portatori del virus. E sia Sars che Ebola sono da ricondursi a pipistrelli, sia cacciati che comunque conviventi con i sapiens nelle aree metropolitane, oltre che a scimmie, preda di bracconaggio e vendita illegale.
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Il commercio illegale della fauna selvatica è un terzo motivo di preoccupazione, e non deve essere sottovalutato. Nel caso di Covid-19 è il caso del pangolino cinese, le scaglie della cui "corazza" lo rendono ambito dai bracconieri. Fatte di cheratina, come le nostre unghie, secondo diverse superstizioni sarebbero una panacea per molti mali e vengono utilizzate, come le ossa di tigre e il corno di rinoceronte, dalla medicina orientale. Inoltre la carne di pangolino viene considerata da alcune comunità locali una vera e propria prelibatezza: ecco perché oggi questo mammifero, mite e innocuo, è divenuto l'animale più contrabbandato al mondo. In Cina la sottospecie è declinata del 90% dagli anni Sessanta, proprio a causa del commercio illegale. Il genoma del virus rinvenuto nei pangolini (che si suppone essersi sviluppato originariamente nei pipistrelli) è quasi identico al Coronavirus 2019-nCoV rinvenuto nelle persone infette. Sembra quindi che il commercio illegale di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo sia veicolo per vecchie e nuove zoonosi, aumentando il rischio di pandemie i cui contraccolpi sono sotto gli occhi di tutti. In particolare, non è la prima volta che si sospetta che l'ospite intermedio di una malattia infettiva sia un animale vivo venduto in un mercato cinese: circa 17 anni fa, la sindrome respiratoria acuta grave (Sars), è comparsa in un mercato cinese che vendeva civette delle palme.
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Tutto questo sotto la nostra responsabilità. Però, qui c’è anche parte della soluzione del problema: basterebbe infatti ridurre l’intensità e il livello di quelle attività distruttive per gli ecosistemi per ridurre, di conseguenza, i rischi di pandemie e, anzi, irrobustire le nostre difese. Purtroppo, però, nonostante esistano modelli di previsione dell’insorgenza di epidemie abbastanza precisi, a questi studi non vengono dedicate risorse in tempo di pace, salvo poi rimpiangerlo quando le malattie scoppiano. Fermare la distruzione degli habitat naturali comporta una revisione del nostro modello di sviluppo, solo che stavolta a indicarla non sono i soliti ambientalisti, ma i medici.
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Fonte: www.lastampa.it
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