di Antonino Lomonaco
La questione dei dispositivi di protezione individuale (DPI) è una di quelle questioni nevralgiche che riguarda un po’ tutti i lavori esposti a rischi. E’ scontato dire che in una attività come quella dell’antincendio boschivo, dove il confronto con il pericolo è costante, questi dispositivi siano fondamentali, per cui i ritardi e le inefficienze nella loro distribuzione hanno l’effetto di aumentarne esponenzialmente i rischi. La carenza di mezzi e di uomini (carenza di uomini dovuta anche ai ritardi nella consegna, ad alcuni di noi, dei DPI) si traduce in uno sforzo maggiore (e, quindi, in un rischio maggiore) per chi si ritrova poi ad operare con i pochi mezzi e con i pochi compagni.
Questo è inconcepibile, oltreché offensivo alla dignità di chi si spende, e si è speso negli anni, in un importantissimo servizio votato alla difesa dei territori e alla lotta attiva contro le fiamme che vorrebbero distruggerli.
Per onestà va detto subito che ciò non sia una pratica che riguarda quest’ultima amministrazione, bensì trattasi di una pratica che si ripete negli anni ed ormai ha assunto una costante operativa che non tiene conto dei tempi, e delle stagioni, in modo ottimale.
Si tratta, perciò, in fin dei conti, di un’ inadeguata valutazione del significato e dell’importanza di cui si fa carico sempre più la lotta agli incendi boschivi.
Questa lotta non è un semplice lavoro, tale che possa essere interpretato alla stregua di un qualsiasi altro lavoro ordinario.
La lotta agli incendi boschivi è, principalmente, una vocazione a difesa di quegli organismi viventi, e di quegli ambienti, che permettono la vita agli altri viventi: ovvero gli alberi, i boschi!
L’importanza di tale attività assume perciò un rilievo maggiore se consideriamo il contesto ambientale, profondamente alterato dall’azione umana, nell’intero pianeta che ci ospita. Infatti sono ormai evidenti le conseguenze climatiche ( dovute proprio al contesto devastato di cui si diceva) ai poli, nei ghiacciai e nella tendenza all’aumento statistico dei fenomeni atmosferici estremi.
Detto ciò, non si può ragionare di antincendio boschivo siciliano senza tener ben presente queste premesse, e senza ricordare che proprio nell’immediato sud della nostra regione abbiamo uno dei maggiori deserti in espansione: il Sahara.
Pertanto questi ritardi, queste inefficienze nell’organizzazione, hanno un significato ed un effetto che oltrepassa la contingenza formale e particolare.
Senza mezzi termini: questa attività è una guerra! Affrontare una guerra senza veicoli e senza armi si traduce, inesorabilmente, in una disfatta. Ma, ancor prima, si traduce nella maggiore sofferenza di chi si trova in prima linea.
Si traduce nell’ umiliazione di chi è costretto a stare nelle retrovie, impotente ed inutile!
Si traduce anche, e soprattutto, in un malumore fra le squadre che in questi ritardi trovano la prova di un disinteresse che li tradisce nel momento stesso in cui avrebbero la maggiore necessità di attenzione e di cura.
Le squadre di antincendio boschivo siciliano hanno bisogno di essere ascoltate, capite nelle difficoltà che incontrano e nelle loro occorrenze.
Avrebbero bisogno di coltivare l’umore adeguato all’importanza del compito che hanno da svolgere.
Per esser capiti, però, come sempre, servirebbero degli interlocutori che parlino la medesima lingua, avere medesime esperienze: mangiare lo stesso pane ed inghiottire lo stesso fumo!!
Chi dirige dovrebbe conoscere davvero le medesime esperienze, a partire dalle difficoltà familiari dovute (anche qua) ai regolari ritardi nella riscossione dei pagamenti mensili, il sentirsi addosso la pubblica disapprovazione fomentata da quel giornalismo superficiale e negligente (ma oggi dominante). Soprattutto salire, scendere, colline e montagne, nella calura estiva, dentro tute, guanti, caschi, ignifughi, che salvano la vita mentre si combatte contro le fiamme e contro i pericoli connessi.
Dispositivi di sicurezza che salvano la vita ma che aumentano tremendamente l’affanno, il quale si aggiunge, paradossalmente, ai fattori di rischio contro cui essi stessi si pongono. Quest’ultima evenienza sembra un cane che si morde la coda. Si tratta di un meccanismo rotatorio ed ottuso, il quale si può interrompere solo tenendo conto delle peculiarità che ci appartengono, cioè a dire tenendo conto, innanzitutto, del nostro clima.
I dispositivi di sicurezza non sono strumenti perfetti, bensì perfettibili, ovvero sono tanto più efficienti quanto più si adattano al personale che li indossa, ai luoghi, al clima e alle condizioni d’uso!
Un DPI poco confortevole non è un buon DPI!
Per cui qualora capiti un diffuso uso improprio ci si deve porre il problema del motivo, senza eludere la questione o arenarsi in una stolta imposizione.
Sarebbe opportuno, perciò, indicare o studiare DPI più confacenti alle nostre condizioni, magari scelti attraverso prototipi provati prima da alcuni fra le nostre squadre.
Coloro che operano fattivamente contro gli incendi, quindi, da un lato subiscono i ritardi nella distribuzione dei dispositivi di sicurezza, dall’altro, questi stessi DPI, per alcune loro caratteristiche, si dimostrano eccessivi alle nostre latitudini, aumentando l’affanno degli operatori a discapito dei riflessi e del loro vigore.
Questa è una questione importante da affrontare, valutare, assieme agli operatori, e a riguardo non si può fare alcuna scelta che non li coinvolga.
Anche a chi scrive, qualche tempo fa, è capitato di finire al pronto soccorso, per la disidratazione da ipertermia, dopo alcune ore di intervento contro le fiamme, sotto il sole cocente della nostra latitudine, dentro tuta, scarponi, guanti, casco con visiera.
Eppure, sono questi stessi DPI che l’anno scorso gli hanno permesso di attraversare quindici metri di fronte fuoco, salvandogli la vita!!
I DPI sono fondamentali ma vanno considerati nella realtà vissuta di chi opera.
E’ solo con costoro che, a riguardo, va intessuto un dialogo proficuo e valorizzante.
Ed è solo così che si potrebbe ben dire, poi, “Noi”, quando ci si riferisce ad una coerenza in questa lotta (in questa guerra) alla distruzione in movimento.
Poiché le reticenze, il silenzio, non appartengono ne alla lotta, ne alla guerra e... tantomeno alla vita.
Un grande saluto ai miei compagni impegnati nell’antincendio boschivo
Antonino Lomonaco
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