Mafia, separatismo e autonomia nella Sicilia del dopoguerra
Oggi, forse perché da tante speranze e da tanti progetti del passato si misura la distanza e di esse si constata il fallimento, ci si puo' avvicinare con serenità a temi come la mafia, il separatismo e l'autonomia, sgombrando, nei limiti del possibile, il terreno di alcuni miti e anche di alcuni pregiudizi. Mafia, separatismo e autonomia sono argomenti che possono essere trattati singolarmente, ma non arriveremmo a farci una visione d'insieme e non si comprenderebbero gli intrecci che tra questi fenomeni ci sono stati. Per poterci arrivare è opportuno prendere in osservazione gli anni che vanno dal '43 al '47, che costituiscono il campo di gioco in cui mafia separatismo e autonomia si sono incontrati e scontrati. Sono anni in cui emergono nuovi protagonisti, nuovi movimenti e nuovi progetti politici e avvengono fatti che condizioneranno la storia siciliana fino ai nostri giorni. Fatti che non spuntano dal nulla e che hanno un proprio passato di cui in seguito occorre fare una sintesi sommaria per capirci qualcosa.
Il '43 è stato l'anno di svolta nella guerra al nazifascismo:sbarco degli Alleati in Sicilia, vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado, sconfitta dell'Armir nel bacino del Don, defenestrazione di Mussolini. Nel caos scoppiato per il crollo del regime fascista e in presenza delle truppe alleate ricompaiono i partiti, che erano stati sciolti nel ventennio; ricompare la mafia che si diceva debellata e ricompare l'autonomismo, opzione politica mai dimenticata da parte di qualche frazione della classe dirigente siciliana, che si presenta, però, in quel tempo anche sotto forma di una proposta separatista. Se il ' 43 è il punto di partenza del nostro ragionamento , è necessario dare un'occhiata all'indietro per avere sufficiente comprensione di ciò che stava accadendo.
Per quasi tutto l'Ottocento le vicende storiche (1848/1860/1866/1993-94)avevano configurato la Sicilia come terra tendenzialmente eversiva degli assetti politico-istituzionali esistenti in un dato e particolare momento. I motivi di fondo di questa continua insofferenza, che è sfociata anche in fatti rivoluzionari, possono essere indicati nella condizione economico-sociale del mondo contadino, nell'avversione di parte della classe dirigente siciliana nei confronti del governo centrale e nella inquietante presenza pubblica della mafia. La classe sociale che poteva essere condotta alla ribellione era quella dei contadini per il loro desiderio di lavoro, di terra e per il loro rancore per i secolari soprusi subiti, compreso l'ultimo verificatosi con l'espropriazione delle terre comuni in seguito all'abolizione delle leggi feudali
I fatti eversivi/rivoluzionari dopo l'Unità d'Italia trovano la loro giustificazione nel modo in cui ad essa si era arrivati, perché non ha avuto alcun effetto sul piano della giustizia sociale, perché la creazione del mercato nazionale e la conseguente abolizione del sistema protezionistico dell'economia meridionale aveva indebolito il sistema produttivo siciliano e perché l'aumento del carico fiscale per pagare i debiti di guerra gravava soprattutto sui ceti popolari. Gli unici rimasti contenti sono stati i moderati anticlericali che si divisero le proprietà ecclesiastiche a prezzi modesti anche per l'intervento della mafia nelle aste e nelle transazioni di vendita.
La mafia comincia ad essere protagonista di un qualche rilievo nelle vicende siciliane a partire dal'Unità di Italia, ma chiaramente non dà il segno a tutta intera la storia siciliana come grossolanamente si afferma talvolta. E' dentro la storia siciliana e nazionale e negarne la presenza o ridimensionarla è un'operazione mistificatrice. La sua presenza si è modificata nel tempo sia nelle modalità operative, sia nelle attività di riferimento, sia nel peso politico. Per capirla si deve lasciare il folklore dell'uomo d'onore fiero, coraggioso insofferente dei soprusi, perché questo è stato il modo per giustificarne l'impiego e diminuire la portata della sua presenza nelle vicende politiche. Una definizione valida oggi e valida anche ieri è quella che presenta la mafia come organizzazione costituita per l'impiego extra-istituzionale della violenza per potere intimidire, rubare, creare e difendere fortune, risolvere conflitti, rappresentare indirizzi; violenza per difendere proprietà, per sostenere processi di ascesa sociale e anche per uscire dalla miseria. Da sempre la mafia è forte nella misura in cui è utilizzata e protetta dalle autorità e da esponenti politici. Lo diceva già nell'Ottocento in Parlamento il ministro Tajani, che fu procuratore a Palermo. La mafia è un potere criminale, che è stato spesso in contiguità col potere politico e questo si è verificato soprattutto nei processi di estensione e di esercizio del diritto di voto, prima in assenza e poi in contrasto con i partiti di massa Fino agli anni del prefetto Mori la mafia è stata legata al sistema giolittiano dei notabili come afferma S. Lupo. In ragione di questo connubio non la si è combattuta e nemmeno si sono voluti trovare gli strumenti giuridici per colpirla. Bisogna aspettare il Codice Rocco per vedere statuito il reato di associazione a delinquere per sanzionare non solo i crimini commessi, ma anche la stessa partecipazione all'organizzazione mafiosa.
Dopo questo sguardo all'indietro torniamo agli anni che vanno dal'43 al'47. E' questo un periodo particolare in cui è necessario distinguere fatti e miti storici; tra questi si potrebbero includere la promozione della mafia ad alleato spurio, ma utile degli anglo-americani e l'appoggio degli alleati all'ipotesi di uno stato siciliano indipendente. E' invece un fatto certo che il separatismo abbia dettato l'agenda politica in Sicilia in quegli anni, condizionando alleanze, scontri politici ed esiti istituzionali, come sono fatti certi l'abolizione del latifondo e la rottura dello Stato centralizzato con l'Autonomia Siciliana.
Gli Alleati nel '43 con la guerra in atto e dalla conclusione incerta non avevano interesse a gestire direttamente la Sicilia e pertanto scelsero di affidare gli incarichi amministrativi locali, ma sotto la loro stretta sorveglianza, al vecchio personale politico e a quello che godeva di qualche cenno di fama antifascista (compresa la mafia che era stata combattuta ... dal fascismo). Furono rimossi prefetti e vennero ricostituite le cattedre universitarie con gli stessi criteri; nella scelta del personale amministrativo in alcuni casi furono richiesti il parere e i consigli delle autorità religiose ed evidentemente non si ricorse a procedure democratiche nella scelta. Che in questo frangente alcuni esponenti mafiosi abbiano assunto funzioni amministrative è innegabile e documentato; che abbiano avuto queste responsabilità in premio per l'aiuto dato agli alleati pare improponibile. Con più di400 mila uomini armati di tutto punto gli alleati potevano fare tutto da soli.
Sul separatismo occorre spendere qualche parola in più proprio per i motivi esposti sopra. Il problema del separatismo come si pose dal '43 al '45 ebbe un risvolto internazionale e un risvolto interno. Nonostante i tentativi di Finocchiaro-Aprile di internazionalizzare la questione Sicilia, la Sicilia come entità separata dall'Italia non entrò mai fra gli argomenti della contrattazione fra gli Stati Alleati e mai fu presa in considerazione nelle grandi assisi internazionali che si tennero al di qua e al di là dell'Atlantico. Sul fornte interno, invece, la questione separatista fu uno dei più gravi problemi che assillarono l'Itala post-bellica. Il separatismo è figlio dello scollamento morale e politico dell'apparato fascista e del sistema statuale, che coinvolse il principio di autorità e la stessa idea di nazione.
L'Italia rischiò in quel periodo di perdere ciò che come nazione e come Stato possedeva. "l'Unità d'Italia e non per colpa nostra è spezzata"(10 luglio 1943-Finocchiaro-Aprile). Al separatismo si rivolsero molti amministratori di nomina alleata e i loro testi sacri furono "Elogio del latifondo" di L. Tasca e "La Sicilia ai siciliani " di A. Canepa. Non fu un fenomeno improvviso. Aveva cominciato a germinare durante gli anni della guerra e il regime consapevole di quel che stava succedendo trasferì in altre regioni del Nord buona parte dei funzionari siciliani e allo stesso modo due terzi degli ufficiali siciliani su altri fronti . Per il Regime la Sicilia non era affidabile. Il punto oscuro e delicato della storia del separatismo è costituito dall'ambiguità e dalla consistenza dell'intreccio non adeguatamente chiarito dei suoi rapporti con i servizi segreti e con gli ambienti diplomatici anglo-americani.
L'indipendenza della Sicilia richiesta dai separatisti veniva presentata come rimedio ai torti subiti dall'Isola con l'Unità della Nazione, ma a dire la verità si facevano molte illusioni sull'autosufficienza dell'Isola dal punto di vista economico. Negli anni presi in considerazione il separatismo ebbe un seguito di massa anche tra i ceti popolari; ne facevano parte personaggi come Tasca d'Almerita, Finocchiaro-Aprile, vecchia mafia, latifondisti, uno sparuto manipolo anarchico ed esponenti cattolici. Il separatismo aggregava destra agraria e democratici, repubblicani e monarchici, notabili e masse popolari. Nel Nisseno il gruppo del Vallone (Volpe e mafia cfr testimonianze di Alessi e di Pignatone rese nel Convegno "Chiesa e società a Caltanissetta all'indomani della seconda guerra mondiale ") era inizialmente separatista. La chiamata alle armi in Sicilia, a guerra che si riteneva conclusa, delle classi del '22, '23 e del '24 così come l'aumento dei conferimenti del grano ai "granai del popolo"furono motivo di adesione popolare al separatismo.
Al separatismo, tollerato, non osteggiato (soprattutto dagli inglesi ) si oppose l'autonomismo dei partiti facenti capo al CLN: democristiani, comunisti, socialisti, liberali, azionisti. La nascente DC fece propria la linea di don Luigi Sturzo: regionalismo sì, separatismo no, ma doveva fare i conti con tentazioni e scelte separatiste come quelle di La Rosa, vecchio popolare e di Silvio Milazzo, ambedue di Caltagirone. I partiti antiseparatisti costituirono il Fronte Unito Siciliano(ottobre 1943); si schierano per l'unità della nazione, ma anche per il riconoscimento e la tutela dei diritti dell'Isola. Ha inizio in quegli anni la lunga e non terminata stagione del riparazionismo; la concezione autonomistica degli ex- popolari e dei democristiani aveva, però, un diverso respiro; il riparazionsmo aveva capacità d'attrazione e ne furono influenzati tutti gli altri partiti.
Dopo sette mesi di sola occupazione militare la Sicilia viene consegnata dagli Alleati al Governo Italiano, febbraio '44), che decide di entrare in guerra a fianco degli alleati contro i nazi-fascisti. Contro la scelta di riportare la Sicilia sotto la sovranità dello Stato Italiano insorsero i separatisti, ma il consiglio regionale dei prefetti, organismo creato dagli alleati, approvò questa scelta a grande maggioranza. A compensazione di questo passaggio venne istituito l'Alto Commissariato per la Sicilia, che intendeva essere un primo anche se larvato passo verso l'autonomia e sanciva anche la prima seria sconfitta politica dei separatisti.
Il periodo che va dal'43 al '47 è ricco di progetti e di scontri politici, ma è anche teatro della ripresa in grande stile del banditismo, della mafia e anche delle rivolte contadine. Si era nel mezzo di una crisi grave di approvvigionamenti, di inflazione, di disoccupazione, di scardinamento dei sistemi logistici, di blocco del commercio e di esplosione del mercato nero. Si assiste in più luoghi a rivolte spontanee e acefale e incominciano i sequestri di persone. Non bisogna dimenticare che c'erano molte armi in giro, abbandonate dall'esercito in fuga o scambiate per un abito civile da militari che disertavano. A causa di questi motivi assurge a luogo centrale della politica siciliana l'area interna latifondistica ad economia cerealicola, dominata dalla mafia . La mafia si mette in appoggio alla grande proprietà e al controllo del mercato nero e di fronte all'emergenza sociale delle lotte contadine e delle rivolte si costituisce come partito d'ordine. Il separatismo sposa la difesa di quanti non vogliono gli ammassi del grano e in questo modo incrocia sia la mafia, sia il banditismo. Contro l'espandersi del banditismo fanno muro i partiti di sinistra; le parole d'ordine per battere e isolare il banditismo nelle campagne furono:riduzione dei canoni, lotta per la terra e nuovi patti agrari. Le riforme agrarie ebbero l'effetto di contenere l'espansione del separatismo nel mondo rurale.
La richiesta dell'autonomia per la Sicilia si sviluppa proprio in questo momento drammatico di conflitti sociali e la prima risposta che viene data dal Governo Italiano, come è stato detto, è l'istituzione del Commissariato per la Sicilia, voluto dagli Alleati anche come strumento di raccordo tra nuovo apparato siciliano e vecchia amministrazione statale. Accanto alla figura del Commissario viene posta una Consulta Regionale col compito di elaborare lo Statuto che avrebbe dovuto avere la Sicilia. La Consulta si insedia nel febbraio del '45 e ne fanno parte 36 esponenti, scelti tra i partiti CLN, i sindacati e il mondo della cultura. In Sicilia l'autonomismo aveva una lunga tradizione, ma quello che si sviluppa nell'immediato dopoguerra ha un'identità diversa per la presenza di forze politiche che prima non esistevano. Da fatto elitario -conservatore l'autonomismo diventa fatto democratico-popolare.
Alla crescita politica dell'autonomismo il separatismo risponde con scelte avventuristiche paramilitari; dal maggio '45 fino al marzo '46 si registrarono alcune azioni militari dell'esercito di volontari separatisti, non più di un migliaio, secondo gli storici. Tra un presidio militare separatista e l'altro facevano da truppe di collegamento le bande, compresa quella di Giuliano. Canepa che era a capo di questo particolare esercito cadde subito in un agguato e i capi politici del separatismo per salvarsi dal completo naufragio non trovarono di meglio, se non quello di dichiararsi estranei alle azioni dei giovani che si erano dati alla guerriglia.
Lo statuto che venne fuori dall'apposita Consulta si reggeva su due pilastri: quello riparazionista (risarcimento dei danni subiti) e quello dell'autosufficienza; alla Regione veniva assegnato l'esercizio di quasi tutte le funzioni dello Stato. Era una grande conquista dopo tre anni di convulsa agitazione e quasi un anno di guerra civile e servì per pacificare la Sicilia alla vigilia dell'importante referendum del '46; ci volle anche un'amnistia per i reati politici. L'approvazione dello Statuto della Regione Siciliana venne sancita con regio decreto n. 455 del 25 maggio 1946 e prima ancora che venisse approvato il nuovo ordinamento dello Stato, la Sicilia aveva il suo Statuto, creando le condizioni dell'ordinamento regionale per tutta la Nazione. La minaccia eversiva separatista venne utilizzata intelligentemente per ottenere subito l'autonomia; in questo modo veniva preservata da eventuali colpi di mano in seno alla Costituente, che ancora doveva essere eletta.
In virtù della legge costituzionale del 26 febbraio n. 2 lo Statuto della Regione Siciliana fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica Italiana ai sensi e per gli effetti dell'art. 116 della Costituzione, approvata dall'Assemblea Costituente il 22 Dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 48-La peculiarità sostanziale e la forza dell'autonomia siciliana poggiano sulla facoltà di legislazione primaria; fatto che rompeva l'unicità della fonte legislativa, modificava la natura dello Stato e la sua tradizione. Ecco perché in Sicilia si ha un Parlamento e non un Consiglio Regionale. Con la Statuto alla Regione Siciliana veniva concessa un'ampia facoltà su numerose materie, tra cui l'industria, l'agricoltura, ma anche l'urbanistica. Gli anni iniziali della storia dello Statuto furono segnati dalla presenza dell' Alta Corte per la Regione Siciliana (art. 24 dello Statuto), destinata a ricoprire un ruolo di primo piano nel contenzioso tra Stato e Regione, fino all'Istituzione della Corte Costituzionale, insediata ed entrata in funzione nel '56. Dal ' 48 al '51 quasi tutte le leggi regionali furono impugnate, ma quasi tutte furono riconosciute legittime. La Regione Sicilia, di fatto con lo Statuto si dotava di un ordinamento equi-ordinato a quello statale.
I primi anni dell'autonomia regionale, anche senza infrastrutture burocratiche, sono stati tempi di grandi disegni e di grandi dibattiti. Un fervore di idee, che non ha avuto più una replica per impegno e serietà, sul destino che avrebbe dovuto avere la Sicilia dal punto di vista economico e sociale. Il dilemma, che ancora ci trasciniamo, era tra industrializzazione massiccia e sviluppo agrario. Proprio per le grandi possibilità offerte dallo Statuto, l'autonomia divenne banco di prova della capacità politico-progettuale di tutte le forze politiche. Diciamo della loro vocazione e fedeltà autonomistica. Con lo Statuto si sono poste le condizioni per la rinascita e lo sviluppo della Sicilia. Certamente le condizioni di oggi non sono paragonabili a quelle di 70 anni fa; ma si ritorna ad emigrare; i paesi si spopolano e a partire in massa sono oggi i laureati, i ragazzi, ricchi di studi e di competenze.
Se abbiamo 24 mila forestali la colpa non è dello Statuto e nemmeno delle migliaia di dipendenti che si chiedono ogni giorno che cosa fare. Se sono andati in malora gli enti economici e se la Regione è sul limite della bancarotta la colpa non è dello Statuto. E' colpa di una classe dirigente politica che non ha onorato le proprie responsabilità e lo Statuto; che ha corrotto e si è lasciata corrompere; che ha aperto le porte all'affarismo mafioso.
Dopo la grande stagione iniziale, che si è conclusa con l'avventura milazziana, la Regione è stata occupata da personale politico mediocre o se valido in transito verso Roma. Si fa fatica a trovare un momento alto per produttività di idee e di fatti. Si salvano figure come Nicolosi e Mattarella. Fino a quasi tutti gli anni '70 è sembrato che si fosse avviato un forte processo di sviluppo per la presenza di grandi complessi industriali(Gela, Milazzo, Priolo, Termini)che non hanno però creato indotto, ma hanno malversato il territorio e per un articolato complesso di piccole industrie che niente avevano a che fare con i grandi complessi . Partivano centinaia di operai e di impiegati dai nostri paesi dell'interno per andare all'Anic di Gela. Oggi è tutto ridimensionato e rimpicciolito. La classe dirigente che di questo disastro è responsabile non è solo composta dal ceto politico; ne fanno parte il mondo delle professioni, quello dell'imprenditoria, quello della finanza, quello dell'Università e dei vertici della burocrazia. Non credo che negli ultimi tempi abbiano dato prova di coraggio e di generosità verso la propria terra. Sono mancati anche loro. Basterebbe pensare a quanti si sono liberati delle proprie responsabilità imprenditoriali, a quanti nelle zone grigie delle professioni hanno commerciato e commerciano con gli affari della mafia.
In Sicilia non mancano risorse finanziarie ; non mancano competenze. Mancano progetti di sviluppo democratico, mancano soprattutto le risorse fondamentali della fiducia e della speranza. Per ricostruirle ha responsabilità primaria chi ha un ruolo di rilievo in qualsiasi settore della società. La lotta alla corruzione, ai privilegi e all'uso privatistico dei beni pubblici è un passo dovuto e pre-condizione di qualsiasi altro impegno. Si deve poter constatare e toccare con mano che c'è per tutti un Bene Pubblico dal quale dipende la qualità della nostra convivenza. Si deve poter comprendere e sperimentare che esistono modi e opportunità di partecipazione alla costruzione e alla difesa del Bene Comune. La rinascita della Sicilia non avverrà per un maggiore afflusso di risorse finanziarie, peraltro impossibile, ma per la ricostruzione degli strumenti di democrazia; avverrà se si passerà dagli sprechi all'uso trasparente e razionale delle risorse di cui si dispone.
Raimondo Giunta
Fonte: www.aetnanet.org
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