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di Francesco Bertolini - 20 febbraio 2018
Le foreste coprono il 30% delle terre emerse. Una superficie enorme, ma che continua drammaticamente e velocemente a diminuire. Ma perché dovremmo preoccuparci se le foreste lasciano posto a pascoli, infrastrutture e nuovi insediamenti urbani? Le foreste sono la cassaforte della biodiversità. Ma ancora, perché dovremmo preoccuparci della biodiversità? Cosa interessa agli annoiati e spesso poco informati cittadini occidentali se si estingue il rinoceronte di Sumatra o un insetto che prospera in Amazzonia? Se consideriamo le sfide globali indicate dai sustainable development goals, ma anche solo dal buon senso, le risposte sono semplici.
La deforestazione e il degrado delle foreste incidono sulle emissioni globali di anidride carbonica per circa il 20%, più dell’intero settore dei trasporti, che pesa per il 13%. Le foreste contribuiscono al Pil globale per circa 600 miliardi l’anno, occupando più di 50 milioni di persone; circa la metà dei farmaci hanno una origine naturale, centinaia di piante medicinali base per preparati farmaceutici sono a rischio estinzione. Sostituire i servizi naturali che le foreste ci forniscono gratuitamente costerebbe una cifra inimmaginabile, oltre che essere difficile da realizzare tecnicamente. Cambiamenti climatici, desertificazione, depurazione di aria e acqua, reperimento di principi farmaceutici fondamentali per la nostra salute ci fanno capire l’importanza della biodiversità delle foreste.
È per questo motivo che i confini dell’attività d’impresa, soprattutto delle grandi corporation che utilizzano quantità enormi di risorse, devono allargarsi alla tutela della biodiversità, dopo essersi ampliati alla gestione di tante altre esternalità negative, una volta a carico della collettività. E sono tanti gli esempi di imprese che si stanno impegnando sul fronte della conservazione e della sostenibilità, alcune con progetti simbolici, altre con approcci innovativi orientati al coinvolgimento degli stakeholder locali, elemento questo fondamentale soprattutto in Paesi dove l’incidenza demografica è altissima, come in Indonesia o in India. Lo stakeholder engagement costruisce una cultura in cui far germogliare concetti di sostenibilità, legati a multi colture, a ecoturismo, a ricerca e sviluppo farmaceutico, a didattica e monitoraggio etc.
Riuscire poi a trasmettere l’investimento in sostenibilità che queste imprese stanno facendo ai mercati finali rappresenta la sfida ultima e più complessa, in quanto è necessario raccontare e far percepire ai consumatori il contenuto ambientale dei prodotti, in termini di impronta idrica, impronta di carbonio, impronta di packaging etc. È la sfida delle imprese sostenibili globali. Compito di tutti identificarle, raccontarle e condividere i loro sforzi.
L’autore è docente presso Sda Bocconi e presidente di Forest for future
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Fonte: www.ilsole24ore.com
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