di Rosario Battiato
Il dipartimento regionale di protezione civile ha analizzato i rischi di natura antropica. Riflettori puntati soprattutto sugli stabilimenti con probabilità di incidente rilevante
PALERMO - A minacciare la sicurezza dei siciliani non sono soltanto le imprevedibili catastrofi naturali. Nel mirino dell’attività di protezione civile rientrano infatti anche i fattori di natura antropica che sono stati analizzati dal dipartimento regionale all’interno del “Piano regionale per il potenziamento delle attrezzature, dei mezzi e delle risorse del Sistema regionale di protezione civile”, apprezzato in Giunta nelle scorse settimane. Un elenco dettagliato che sposta l’osservazione oltre le componenti che, in combinazione col rischio naturale, possono diventare devastanti, come il consumo di suolo, e si spinge nell’area delle azioni da controllare per le pericolosità intrinseche all’attività stessa.
In cima alla lista si registra il rischio “chimico-industriale”, caratterizzato dalla presenza delle cosiddette industrie a rischio di incidente rilevante. Una concentrazione che si dipana nei tre tradizionali poli siciliani del settore – Gela (in fase di riqualificazione con la green refinery), Priolo Gargallo e Milazzo – ma che di fatto si estende anche anche a un’altra sessantina di impianti, che costituiscono circa il 6% del totale nazionale (elaborazione su dati Arpa). A definire le attività di controllo e monitoraggio ci sono normative nazionali e comunitarie (la prima direttiva Seveso, poi aggiornata, risale all’inizio degli anni Ottanta ed è stata recepita in Italia nel 1988) che fissano una serie di categorizzazioni sulla base dei quantitativi di materiali tossici stoccati e prodotti, e identificano “una serie di adempimenti atti a prevenire il verificarsi di incidenti industriali – si legge nel documento della protezione civile – aventi ricadute sulla popolazione residente nelle aree limitrofe e sull’ambiente”.
Gli scenari relativi ad eventuali incidenti che potrebbero verificarsi nelle aree con elevata concentrazione di stabilimenti a rischio ipotizzano “realisticamente la probabilità che si sviluppino incendi di grandi dimensioni o rilasci in atmosfera di sostanze tossiche a base di zolfo o di cloro, coinvolgendo interi agglomerati urbani con migliaia di persone a rischio intossicazione”.
In particolare, proprio nelle aree con una maggiore presenza di impianti, la normativa “prevede la necessità dell’analisi della possibilità che un singolo incidente possa determinare un ‘effetto domino’, cioè un ampliamento dello scenario incidentale, coinvolgendo impianti e depositi posti nelle vicinanze della fonte principale”. A vigilare su questi aspetti c’è il servizio rischi ambientali e industriali del Drpc Sicilia, che monitora tutte le segnalazioni “contribuendo ad innalzare il livello di allerta per questa tipologia di rischio antropico”.
Direttamente collegato al rischio industriale è l’inquinamento ambientale che, sebbene possa essere anche di origine naturale, viene solitamente considerato in riferimento alla porzione antropica, nell’ottica di alterazione dell’ambiente e conseguente compromissione dell’ecosistema con danno per la vita.
In questo ambito rientrano anche l’inquinamento atmosferico, di recente tornato alla ribalta delle cronache in seguito al rischio di deferimento dell’Italia alla Corte Ue per l’emergenza smog, l’inquinamento idrico, che nell’Isola è direttamente legato anche alla cattiva gestione dei rifiuti urbani e all’eccessivo smaltimento in discarica (circa l’80% del totale nel 2016), e l’inquinamento acustico che vede ancora diversi comuni isolani senza strumenti adeguati per la gestione del rumore. Nel lungo elenco si trovano anche il rischio elettromagnetico e quello degli incendi boschivi.
24 Febbraio 2018 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: www.qds.it
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