Da FRANCO GARUFI - 26 gennaio 2018
A leggere i giornali ogni mattina ci si confonde. Per esempio, in questo giovedì di gennaio benedetto dal sole, ecco due titoli in contrasto evidente: la Sicilia prima nella nascita delle nuove imprese, ma al tempo stessa in attesa dei poteri speciali da Roma per affrontare le “emergenze” di acqua e rifiuti che durano ormai da vent’anni. E’ davvero contraddittoria l’immagine dell’isola che se ne ricava: rapidamente finito nel dimenticatoio lo scoop sui conti del bilancio, il governo regionale vive ora nell’attesa ad horas delle decisioni di palazzo Chigi. La colpa naturalmente è del mai abbastanza vituperato Rosario Crocetta, divenuto nell’immagine mediatica l’unico responsabile di mali che risalgono agli ultimi quattro o cinque governo regionali.
Si sono enfatizzati anche i dati statistici, sostanzialmente in linea con quelli delle altre regioni meridionali, pur di imprimere il crisma negativo di una regione che non sa far altro che la marcia del gambero, sempre all’indietro. Non sappiamo a chi sia servita questa narrazione priva di speranza, ma certamente essa ha lasciato un’eredità di confusione e- per una sorta di eterogenesi dei fini- riverbera già i suoi effetti negativi sul nuovo governo regionale che pensava di usare come lasciapassare le presunte malefatte di chi lo aveva preceduto. Certo, non è stata utile ai siciliani questa lettura tutta in negativo che non ha colto la complessità dei fenomeni economici e sociali in corso e i loro aspetti contraddittori, ingigantiti dalla lunghissima crisi economica e finanziaria che si è scatenata come un uragano sul già debole sistema produttivo siciliano. Migliaia di imprese sono morte, in dieci anni si sono persi oltre 120.000 posti di lavoro, ma sotto la superficie si è realizzata una trasformazione che la politica non è riuscita a cogliere ed indirizzare.
E’ aumentata la povertà assoluta, tuttavia la precedente Assemblea regionale si è rifiutata di approvare un disegno di legge d’iniziativa popolare che, come avvenuto in altre regioni, avrebbe evitato che i più poveri delle nostre città e dei nostri paesi restassero abbandonati a se stessi. Tutti i settori dell’economia isolana si sono ritrovati privi del sostegno dalla mano pubblica nei processi di ristrutturazione ed internazionalizzazione che hanno realizzato, come dimostra la vicenda della spesa dei fondi europei di sviluppo ed investimento. Anche l’aiuto nazionale allo sviluppo si è fermato davanti all’incapacità della politica isolana: i cantieri del Patto per la Sicilia, firmato in pompa magna ad Agrigento oltre un anno fa, sono ancora sostanzialmente fermi, mentre la nuova Giunta parla addirittura di apportare modifiche che farebbero perdere altro tempo. Rispetto alla complessità di quanto stava avvenendo nella realtà, la lettura che ne hanno dato i decisori politici (e spesso purtroppo anche le parti sociali) è stata estremamente semplificata, altalenante tra la mera denuncia e la richiesta di risorse ulteriori da sommare a quelle che non si riuscivano a spendere. Un’interpretazione che non ha mai affrontato il vero nodo rappresentato dalla scelta della politica e delle istituzioni, nei quindici anni che ci stanno alle spalle, di dar fondo alle risorse pubbliche in progressivo esaurimento pur di mantenere in piedi un sistema sostanzialmente corporativo che ha distorto e fatto strame delle potenzialità connesse all’autonomia speciale.
L’obiettivo era assicurare ai decisori politici -da Cuffaro a Lombardo- il controllo della spesa pubblica regionale ed extra-regionale, con quest’ultima che assumeva un ruolo via via crescente rispetto ad un bilancio regionale destinato per il 90% alla spesa corrente, cioè all’auto-riproduzione della struttura regionale. Per avere mano libera nelle decisioni relative all’allocazione delle risorse, si è garantita un’instabile (cioè sottoposta ogni anno all’esigenza di negoziare con governo ed Assemblea) continuità di reddito alle aree del mondo del lavoro che dipendevano dalla spesa regionale.
Le vicende dei precari della pubblica amministrazione e dei forestali sono, da questo punto di vista, emblematiche: costante rinvio delle soluzioni strutturali e dei processi virtuosi di riforma e deliberazioni pro-tempore che consentivano di dare risposta al problema delle retribuzioni e dell’avviamento al lavoro. Tutti i tentativi di porre mano alla riforma di settori decisivi per la qualità della vita dei siciliani, primi tra tutti il diritto ad avere l’acqua ed un sistema funzionante di smaltimento dei rifiuti, si arenavano davanti all’impossibilità di comporre i contrapposti interessi. Forse, se ci si riflette, non è estraneo a questa realtà il fatto che due presidenti della Regioni siano caduti sul terreno del rapporto con la mafia, l’uno condannato con sentenza definitiva per favoreggiamento, l’altro sottoposto a più di un processo.
Così, non si sono realizzati i termovalorizzatori (per un momento ne furono programmati addirittura quattro) ma contemporaneamente non si è data la spinta necessaria alla raccolta differenziata ed al compostaggio, permettendo invece che si costruisse attorno alle discariche (in parte di proprietà di privati imprenditori) un vero e proprio sistema che ha messo in campo investimenti notevoli e che ora ha superato la soglia della sostenibilità.
Se ci si allontana dalla polemica politica di corto raggio, balza agli occhi che l’occasione perduta dal governo Crocetta – e che rischia di mettere fuori gioco per molti anni l’intero centrosinistra siciliano) è stata di aver rinunciato a compiere scelte capaci di invertire la tendenza, di realizzare una vera soluzione di continuità rispetto al passato, limitandosi a galleggiare sui problemi che continuavano ad accumularsi o- peggio- affrontandoli all’insegna dell’improvvisazione e del discorso propagandistico, che- entrambi- fanno sempre a pugni con una credibile strategia riformista.
A ciò ha contribuito anche il rapporto con Confindustria Sicilia e con gli interessi che essa rappresentava in quella fase. Simile è la vicenda delle risorse idriche: si è fatta -giustamente- la legge sull’acqua pubblica ma non si è messo mano agli investimenti sulle reti di distribuzione che sono dei colabrodo capaci di disperdere oltre il 50% dell’acqua che passa nei tubi. Poi, alla prima stagione di siccità, si grida all’emergenza scordandosi di dire che essa deriva da ciò che si è trascurato di fare in questi anni. E si aspettano i poteri speciali, sanatoria di tutte le responsabilità; tranne a prendersela con i cattivi di Roma qualora malauguratamente non venissero concessi. Niente di nuova sotto il sole, purtroppo, nell’anno I dell’era Musumeci.
Fonte: siciliainformazioni.com
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