28 ottobre 2017

LICENZIAMENTO PER LAVORO DURANTE MALATTIA


L’AUTORE: Noemi Secci

Se il dipendente svolge un’attività lavorativa durante le assenze per malattia può essere licenziato?

Nessun licenziamento per il dipendente che svolge un’attività lavorativa durante la malattia, se il lavoro svolto non pregiudica la guarigione: in questo caso, difatti, il dipendente non viola i doveri di correttezza e buona fede, perché non mette in atto comportamenti che possono peggiorare il suo stato di salute, ritardando il rientro in servizio.
Ovviamente, perché non possano essere mosse delle contestazioni disciplinari, lo stato di malattia deve essere reale e non fittizio; inoltre, l’attività svolta non deve essere in concorrenza con quella del datore di lavoro.
È diverso, invece, il caso in cui il dipendente malato rientri al lavoro prima del tempo senza certificato di guarigione, risultando quindi ancora in malattia: in quest’ipotesi, perde l’indennità dell’Inps e può essere sanzionato anche il datore di lavoro.
Ma procediamo per ordine e vediamo, caso per caso, quali sono le conseguenze dello svolgimento di attività lavorativa durante la malattia.


Dipendente trovato a svolgere un altro lavoro durante la malattia

Se il dipendente svolge un’altra attività lavorativa durante la malattia e il lavoro svolto è compatibile con la convalescenza, non pregiudicando i tempi di guarigione, il datore di lavoro non può licenziarlo: è quanto chiarito da una nuova sentenza della Cassazione [1], secondo la quale non si violano i doveri di correttezza e buona fede se l’attività non comporta il posticipo del rientro in azienda.
Se, invece, l’attività è tale da pregiudicare lo stato di salute, comportando il ritardo nella guarigione, il datore di lavoro può irrogare una sanzione disciplinare al dipendente, sino al licenziamento nei casi più gravi. Ovviamente lo stesso vale nei casi in cui lo stato di malattia sia soltanto simulato.


Rientro al lavoro durante la malattia

La situazione, come anticipato, è differente nell’ipotesi in cui il lavoratore rientri anticipatamente dalla malattia, senza il certificato di guarigione, e il datore di lavoro lo accetti. In questo caso, logicamente, il datore non può licenziarlo, ma può subire delle sanzioni per non aver tutelato l’integrità fisica del lavoratore. Il dipendente, invece, perde l’indennità di malattia.
Quando, difatti, dall’assenza alla visita fiscale emerge che il lavoratore non ha comunicato la ripresa anticipata dell’attività lavorativa, o l’ha comunicata tardivamente (dopo la ripresa dell’attività stessa), gli vengono comminate le sanzioni già previste per i casi di assenza ingiustificata alla visita fiscale; in parole semplici, il dipendente perde:

  • il 100% dell’indennità per massimo 10 giorni, in caso di 1° assenza;
  • il 50% dell’indennità nel restante periodo di malattia, in caso di 2° assenza;
  • il 100% dell’indennità dalla data della 3° assenza.
La sanzione viene irrogata al massimo fino al giorno precedente la ripresa dell’attività lavorativa, considerando tale ripresa come una dichiarazione “di fatto” della fine prognosi (avvenuta nella giornata immediatamente precedente) dell’evento certificato.
Se il lavoratore che ha ripreso l’attività non è reperibile al proprio domicilio per la visita fiscale, viene invitato alla visita ambulatoriale: in questo caso, deve produrre comunque una dichiarazione che attesti la ripresa dell’attività lavorativa.


Sanzioni per il datore che fa lavorare il dipendente in malattia

In presenza di un certificato di malattia con prognosi ancora in corso, il datore di lavoro non può consentire al lavoratore la ripresa dell’attività lavorativa, ai sensi della normativa sulla salute e sicurezza dei posti di lavoro. Il codice civile [2], infatti, obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure  necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori, mentre il Testo unico sulla sicurezza [3] obbliga il lavoratore a prendersi cura della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro e fornisce una lunga serie di prescrizioni ai datori di lavoro, differenti a seconda delle mansioni svolte.
Questo è quanto riordato da una recente circolare dell’Inps sull’argomento [4]: l’Inps, però, non chiarisce quali siano le sanzioni applicabili nello specifico al datore di lavoro. Si ritiene dunque che queste vadano valutate caso per caso, sulla base del Testo unico sulla sicurezza, a seconda del rischio a cui è esposto il lavoratore malato che svolge comunque attività e del rischio al quale sono esposte le persone che potrebbero avere ripercussioni negative dall’attività stessa (si pensi all’autista che guida con la febbre alta, che potrebbe causare facilmente un incidente stradale).

note
 

[1] n. 21667 del 19 settembre 2017
[2] Art. 2087 Cod.civ.
[3] Art. 20 D.lgs. n. 81/2008.
[4] Inps Circ. n. 79/2017.


Fonte: www.laleggepertutti.it





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