Cronaca – Erano tre le strutture che l'ente avrebbe voluto affidare alle imprese per farne punti di partenza per escursioni. Ma dopo più di 365 giorni dalla gara, solo una è aperta. Per Casa Caldarera si spera in un'azienda di distillati, mentre a Case Bevacqua è tutto da rifare
A più di un anno dai bandi di gara, solamente uno dei tre rifugi che il Parco dell’Etna avrebbe voluto dare in gestione è effettivamente entrato in attività. Bilancio in chiaroscuro, dunque, per una delle iniziative fiore all’occhiello della presidenza di Marisa Mazzaglia. Sul rilancio dei punti base per l’escursionismo dell’area protetta, infatti, si era davvero puntato forte. Si tratta di una serie di casolari o rifugi individuati già trent’anni fa, nel decreto istitutivo dell’ente Parco, come parti di una rete - fatta di una struttura per ciascuno dei venti Comuni dell’area protetta - da mettere al servizio dei visitatori. Rete mai, però, entrata effettivamente in attività, tra espropri arenatisi, ristrutturazioni a singhiozzo e incognite gestionali e di competenze. Positive le eccezioni di Rifugio Citelli o di Piano dei Grilli, aperti ai visitatori da tempo. Emblema di degrado e inefficienza amministrativa, invece, vicende come quelle del Grande albergo dell’Etna a Ragalna o di Case Pietracannone, in territorio di Milo, il cui futuro pare indecifrabile dopo una lunga storia di stalli e sprechi.
Dal 2013, tuttavia, sui tre punti base di Case Bevacqua, a Piedimonte Etneo, Case Caldarera, a Randazzo, e Casa della Capinera, in contrada Cicirello a Trecastagni, l’ente Parco era riuscito ad accelerare, completando poi entro l’anno scorso le ristrutturazioni. La spesa, nel complesso, ha superato i due milioni di euro, fondi provenienti sia dalla Regione che dall’Europa. Via libera, in seguito, alle procedure di affidamento, rivelatasi più farraginose e lunghe del previsto e che, alla fine, hanno condotto a un risultato solo nel caso di Trecastagni. Il punto base numero 20 di contrada Cicirello, che prende il nome dal quasi omonimo romanzo di Giovanni Verga ambientato proprio ai piedi di Monte Ilice, è stato inaugurato la scorsa settimana e, oltre ad essere un punto di ristoro, sarà luogo di partenza per escursioni a piedi e a cavallo. Lo terrà in funzione per nove anni un raggruppamento di impresa del posto, vincitore dell’appalto da circa 30mila euro. Una scommessa che val la pena compiere secondo Alfio Campisi, uno dei soci: «Il luogo è molto suggestivo ed è facilmente raggiungibile da Trecastagni – spiega – siamo convinti che possano esserci margini d’azione interessanti».
Ampia era stata la platea degli aspiranti gestori – cinque le offerte presentate - se confrontata con le tre sole offerte presentate per Case Caldarera, il numero 9, e Case Bevacqua, il numero 13. Punti base di cui invece il futuro resta ancora tutto da delineare, specie nel caso di Piedimonte. Per il primo dei due - che sorge in contrada Pirao, sul versante nord dell’Etna - tutte le speranze sono riposte su un’azienda operante nel settore dei distillati, che si è aggiudicata la gestione novennale di Case Caldarera per circa 40mila euro con un progetto che punterebbe a farne un originale centro visita.
Altra storia per Case Bevacqua, quello con l’iter più tribolato e dispendioso – dal 1989 ad oggi è costato oltre tre milioni - fra i tre punti base. Vandalizzato e in abbandono fino al recupero ultimato nel 2015, il gruppo di casolari da oltre mille metri quadrati risale all’inizio dell’Ottocento e può contare su varie stanze per ospiti, aree museali, un grande palmento storico e persino una cantina interamente ricostruita e oggi da adibire a spazio polifunzionale. L’associazione che se n’era aggiudicata la gestione, unica a presentare un’offerta, ha abbandonato il tavolo con l’ente Parco al momento della firma del contratto. Tanti, a quanto sembra, i dubbi sui costi di gestione del complesso e sulla sostenibilità economica di un progetto d’accoglienza turistica in una delle zone meno battute del vulcano.
A far saltare tutto sarebbe stata anche l’incognita della strada di accesso a Case Bevacqua, al momento una malridotta trazzera di circa due chilometri che collega il punto base alla strada provinciale Milo-Linguaglossa. In queste condizioni il rifugio è raggiungibile solo da pochi appassionati che dovrebbero anche essere muniti di mezzi 4x4. Né il Parco né il Comune di Piedimonte, intanto, sembrano riuscire a trovare la quadra e i fondi per ripristinare il percorso. Nel frattempo, l’ente guidato da Mazzaglia starebbe lavorando alla nuova procedura d’affidamento della gestione. Dopo trent'anni, l'imperativo è ancora far presto, per scongiurare il ritorno dei vandali e un nuovo deleterio abbandono di Case Bevacqua.
Fonte: catania.meridionews.it
La meravigliosa Etna
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