02 novembre 2016

INCENDI, CULTURA DELL’AMBIENTE E SELVICOLTURA IN SICILIA. OCCORRE SUPERARE LA MENTALITÀ DELL’OCCUPAZIONE SALTUARIA



Ambiente & Energia

Federico G. Maetzke
Si illustrano strumenti e metodi per la prevenzione degli incendi e per la formazione di una cultura attenta alla conservazione e alla valorizzazione dell’ambiente boschivo, offrendo anche alcune riflessioni sul loro impatto economico

 

Ogni anno con l’arrivo della stagione estiva, del caldo torrido, del secco, del vento di scirocco che non fa respirare, ricorre la notizia dell'incendio forestale: qualche volta gli eventi sono modesti e controllati, più spesso violenti e talora fuori controllo; qualche anno precoci nella stagione, qualche anno più tardivi, ma puntualmente presenti, con le discussioni e le polemiche conseguenti.
A settembre, ad ottobre, i titoli saranno dimenticati, ad emergenza superata le pendici bruciate diverranno consuete alla vista, al massimo susciteranno ancora qualche commento nel passarvi accanto. E nel frattempo Madre Natura porrà rimedio, provvida per quanto potrà, all’incuria dell'uomo. Ma avrà perso, e con lei la società umana, ampie parti di territorio, di significative realtà e molto spesso di bellezza.
L’ambiente mediterraneo assomma caratteri di particolare interesse sia sotto il profilo culturale sia sotto quello naturalistico. L’interazione uomo-bosco, unita alla storia e alla variabilità climatica hanno comportato l’edificazione di una ampia diversità di situazioni che mutano da valle a valle, da pendice a pendice.
I boschi dell’area mediterranea hanno caratteristiche di particolare ricchezza naturalistica sia pur plasmata da secoli di convivenza e impatto con la presenza dell’uomo. Vi si trova pertanto una notevole diversità di specie vegetali e animali e conseguentemente, una grande diversificazione di paesaggi culturali e seminaturali, che vedono le aree coperte da vegetazione arborea e da bosco alternarsi con gli altri usi del suolo. Ciò determina un complesso mosaico paesaggistico ed ecologico: un rilevante carattere del territorio italiano e siciliano in particolare.
In questo contesto la ricchezza della diversità biologica è testimoniata, secondo Scarascia Mugnozza et al. (2000), dal fatto che le aree mediterranee ospitano oltre 25.000 specie vegetali contro le circa 6.000 del nord-Europa (in un’area ben più vasta), e che il 50% delle piante mediterranee sono endemismi. Parimenti gli stessi Autori sottolineano che anche il numero di specie arboree è tre volte superiore nell’area mediterranea rispetto alla precedente. In Sicilia, terra di boschi d’estensione limitata, comunque pari al dodici percento della superficie regionale, altamente diversificata e dalle tante forme di paesaggi agro forestali, il dieci percento della flora locale è endemico. Un patrimonio da salvaguardare, una ricchezza da proteggere.
La diversità di ambienti, spesso caratterizzati da marcate difficoltà ecologiche dovute a clima, morfologia, cattivo uso del suolo, ha comportato adattamenti delle specie e meccanismi di reazione alle pressioni ambientali. Ma la continua ripetizione dei fattori di stress indotti dall’azione antropica, particolarmente incendi e pascolo, ha superato le capacità di resistenza e resilienza dei soprassuoli fino a causare la scomparsa di numerose cenosi forestali, la riduzione dell’area coperta da boschi e l’impoverimento compositivo e funzionale di molti soprassuoli, l’estensione delle garighe e la semplificazione di quella bellissima espressione della comunità vegetale mediterranea basale che è la macchia. Anche le foreste considerate più naturali hanno subito la pressione dell’uomo e le conseguenti modificazioni.


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Tra gli elementi di maggiore impatto vi è sicuramente il fuoco. Sebbene anche quest’ultimo sia un fattore ecologico riconosciuto e, in taluni ambienti, funzionale alla perpetuazione del bosco, la ricorsività e l’intensità degli eventi causati dall’uomo lo hanno reso un fattore primario di degradazione.
Di fronte a questo, appare chiaro che l’approccio al problema dagli incendi non può essere limitato alla sola repressione degli eventi o alla predisposizione di adeguati strumenti d’intervento, pur indispensabili, ma deve basarsi soprattutto sulla prevenzione e sull’educazione. L’accento troppo spesso posto sulla disponibilità, l’efficacia e la funzionalità di mezzi e organizzazioni volte alla lotta attiva ha fatto trascurare il ruolo fondamentale della gestione del territorio agropastorale e del bosco come elemento sostanziale della lotta preventiva al fuoco.
Certo sono più evidenti – e dunque visibili – l’armata aerea e gli equipaggiati eserciti terrestri, rispetto al lavoro quotidiano di programmazione, gestione e esecuzione di interventi e lavori sistematici e diffusi che mantengono la presenza dell’uomo nel bosco e ricostituiscono un’antica alleanza, troppo spesso prevaricata dall’uomo stesso.
Quante volte i mass media riportano immagini di Canadair ed elicotteri in azione e quante volte le immagini di un bosco curato, diradato, quante volte parlano di incendi e quante di selvicoltura, valorizzando il lavoro oscuro e giornaliero di molte, esperte mani forestali? Non bastano i documentari che illustrano le più belle foreste del mondo: occorre mostrare i boschi di casa nostra e come essi sono o possono esser valorizzati.
Quante volte i “media” illustrano la necessità di educazione ambientale – non solo quella della scuola primaria – ma di una educazione diffusa del cittadino e del paesano, che renda consapevoli di rischi e comportamenti errati, anche nelle cose più ovvie?


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Si è detto che la maggior parte dei nostri boschi ha una chiara origine antropica o comunque è stata plasmata dall’uomo (La Mela Veca et al. 2016). In una regione in cui i boschi sono troppo pochi, e in cui molti rimboschimenti sono stati abbandonati – come del resto è deplorevole consuetudine quasi ovunque nel quadro nazionale – occorre coltivare il bosco. Ciò significa assecondare l’azione naturale di selezione e guida verso la complessità e la diversità applicando una serie di tecniche colturali consolidate e studiate dalla selvicoltura.
I rimboschimenti interessano in Sicilia oltre 105.000 ettari, realizzati perlopiù nel periodo dal 1947 al 1996 (Camerano et al., 2011). Poiché frequentemente oggi sono giunti alla fase adulta, si rende necessario agevolare il fenomeno di rinaturalizzazione in atto, partendo da un accurato studio dei meccanismi naturali di diffusione e affermazione della rinnovazione.
Agendo di conseguenza in modo puntuale e diffuso si può favorire, rendere più veloce e efficiente il processo evolutivo in atto. Gli interventi devono essere capillari e continuati nel tempo, volti a guidare il fenomeno senza causare eccessive interruzioni di continuità della copertura e ottenere la graduale affermazione delle specie più esigenti tipiche del piano. E dunque tagli selettivi moderati per ampliare le lacune in cui si è insediata la rinnovazione delle specie autoctone, liberazione degli individui affermati, creazione gaps nei tratti a maggior copertura.
Alla fase esecutiva deve seguire l’osservazione degli effetti dell’intervento, cauto e ripetuto, per verificare la riuscita dell’opera volta a edificare strutture composite e complesse, che risulteranno più stabili e resilienti anche nei confronti degli incendi.
Così anche nei soprassuoli più vicini alla naturalità, la regolazione della struttura e della composizione dovrebbe seguire gli esempi offerti dall’evoluzione naturale. La progressiva riduzione delle conifere a vantaggio delle latifoglie tipiche del piano contribuisce a diminuire la suscettibilità all’incendio. L’esecuzione di diradamenti riduce la biomassa eliminando preferenzialmente le piante deperienti e sottoposte, e spesso asporta parte della necromassa, in equilibrio tra necessità di pulizia del bosco, riduzione della massa combustibile e utilità per la catena dei degradatori.
Senza contare che il prodotto legnoso di queste opere colturali può alimentare piccoli impianti di trasformazione sia energetica sia artigianale in filiera corta, locale (La Mela Veca et al., 2014), molto più utili allo sviluppo del territorio rispetto ai grandi impianti centralizzati su cui gravano costi di trasporto e necessità di approvvigionamento di biomasse difficilmente reperibili con continuità nell'Isola.
Applicare uno studio così complesso e evoluto in termini esecutivi significa adottare i canoni della selvicoltura, che riconosce la complessità del bosco ed è volta a esaltarla. Fermo restando che un bosco oggetto di cure è anche meno soggetto a incendi o comunque subirà sempre danni inferiori da possibili eventi. Le tecniche selvicolturali mirano infatti ad aumentare la stabilità del bosco e contemporaneamente elevano la capacità di difesa intrinseca dei soprassuoli (Leone e Lovreglio, 2005), regolando la disponibilità di combustibile nello spazio e nel tempo. L’esecuzione degli interventi, inoltre, introduce soluzioni di continuità nella distribuzione della componente arborea e arbustiva dei soprassuoli. Si pensi all’esecuzione di diradamenti geometrico-sistematici nei giovani rimboschimenti, alle aperture dovute ai tagli di maturità eseguiti a strisce o buche di diversa disposizione. Ancora, in termini di difesa dagli incendi potrebbe risultare utile, in fase di selezione o di impianto, scegliere specie che hanno elevate caratteristiche di resilienza in modo da assicurare una rapida e efficace reazione all’eventuale passaggio del fuoco.
Le opere colturali, richiedendo la manutenzione della viabilità interna, nel contempo facilitano la penetrazione e l’agibilità nel bosco e dunque anche la lotta attiva.
Alle opere colturali si affianca il complesso di azioni di prevenzione più specifica, quali l’apertura e la manutenzione delle fasce parafuoco – purché fatta nel rispetto della tecnica e del territorio, la spalcatura delle conifere – che ha peraltro anche una ricaduta positiva sulla qualità del legname, il potenziamento e la manutenzione della viabilità forestale.
Si comprende così come tutta l’attività selvicolturale si possa considerare una forma di prevenzione dagli incendi.
In conseguenza di tutto quanto esposto, appare evidente la necessità di pianificazione dei lavori e di gestione dei tempi e dei momenti esecutivi (Maetzke, 2014). In sintesi, l’applicazione della selvicoltura nel tempo e nello spazio: la pianificazione, l’assestamento forestale. Necessario non solo nelle aree di proprietà pubblica e nelle aree protette ma in tutti i boschi, demaniali e privati.
Tutto ciò, come anzidetto, presuppone e comporta la diffusa presenza dell’uomo in bosco. Implica l’impiego di manodopera altamente qualificata guidata da personale ad alta specializzazione, con una grande passione per il lavoro in bosco.
Non molti conoscono, nella realtà della nostra Università, il fatto che anche a Palermo –unica realtà tra gli atenei dell'Isola – con i corsi di Scienze Forestali e Ambientali si formano laureati qualificati per conoscenze scientifiche e tecniche, in grado di progettare e guidare il lavoro nelle aree forestali e agroforestali, un capitale umano – costato alle famiglie e alla società – che si rende disponibile sul mercato del lavoro professionale. Laureati che contribuiscono alla salvaguardia del territorio, benché in un mercato del lavoro assai difficile e frammentato.
Invero i nostri laureati trovano più spesso apprezzamento nelle altre regioni d’Italia e anche all'estero: purtroppo i meccanismi amministrativi e le volontà politiche e burocratiche regionali non hanno saputo e non sanno valorizzare questo capitale umano in Sicilia. Si contano infatti sulle dita d'una mano i laureati in Scienze Forestali inquadrati nei servizi e nelle amministrazioni forestali e ambientali dell'Isola, a fronte di un patrimonio naturalistico rilevante e del demanio forestale più ampio tra le regioni italiane, bisognoso di interventi, di gestione e manutenzione, per i quali è fondamentale una competenza specifica. Una competenza che contribuirebbe sostanzialmente a impiegare in modo più utile, corretto e sicuro i numerosi operatori del settore forestale occupati nei demani pubblici.


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Lo sviluppo e la diffusione degli interventi colturali comporta anche e soprattutto mantenere manodopera e conservare conoscenze locali, saperi consolidati nel tempo, proprio in quelle aree pedemontane e montane dalle quali rammarichiamo l’esodo delle popolazioni, cui mancano possibilità di lavoro e sostentamento. Creare opportunità di lavoro nel bosco significa soddisfare anche una crescente domanda di lavoro alternativo a quello delle fabbriche e delle città. Ma soprattutto significa riedificare un rapporto con la natura e con la foresta che porta alla diffusa conoscenza del territorio e alla coscienza dell’importanza di operare correttamente per il proprio ambiente. E conseguentemente al rispetto e all’amore verso il bosco e la coscienza del significato del lavoro in esso profuso.
Ricreare questo rapporto può comportare anche la riduzione degli incendi e aumentare una vigilanza spontanea. Nessuno brucerà il frutto del proprio lavoro se ne ha rispetto, se è convinto che esso produce reddito e occupazione continuativa. Occorre superare la mentalità dell’occupazione saltuaria, in particolare nel momento attuale, con una diffusa crisi del comparto produttivo, e comprendere che questo lavoro è opera spesa per la comunità e per i singoli, per mantenere un patrimonio da valorizzare e non da distruggere.
Mantenere l’uomo nel bosco e sulla montagna creando opportunità di occupazione, lo abbiamo sentito tante volte, comporta la salvaguardia del piano.
Poiché il lavoro nel bosco, se correttamente condotto, porta la stabilità del bosco stesso, la protezione delle città e della pianura, lo sviluppo di aree che assicurano la nostra ricreazione e il nostro benessere. Di fronte a tanti benefici si osserva che raramente questa logica successione viene realizzata. Infatti, rimboschimenti vengono abbandonati, i boschi cedui usati come miniera da cui prelevare senza dare colturalità, le fustaie in abbandono colturale e soggette solo alle utilizzazioni finali. Rari sono i diradamenti, ancor più rara l’opera colturale nei cedui o nei giovani rimboschimenti, passati i primi anni dopo l’impianto e scadute le prescrizioni dei contratti. Si imputa il fatto ai costi, che sono proibitivi, alla scarsezza di manodopera qualificata, al fatto che il legno non paga abbastanza. Considerazioni queste ultime giuste sotto il profilo finanziario ma certo errate, notevolmente errate sotto il profilo economico. Proprio per le ricadute del lavoro in bosco già ricordate. Basti dire che gli economisti forestali stimano che i servizi ecosistemici[1] assicurati da un bosco valgano almeno 10 volte il valore del legname prodotto dallo stesso.
Quanto costa allora un piano di assestamento, quanto la cura colturale di un ceduo, quanto un diradamento in un rimboschimento in fase giovanile o adulta. Poche cifre a commento. Un buon piano di gestione comporta una spesa massima di circa 100-150 euro per ettaro. Un ettaro di rimboschimento, comprese le prime cure colturali, costa da 7.500 a 10.000 euro. Il diradamento moderato dal basso di un ettaro di giovane fustaia di conifere costa circa 3.000 euro, lo sfollo di un rimboschimento giovane, nello stadio della cosiddetta “perticaia”, circa 1.000 euro per ettaro. Per queste opere vi è ancora la possibilità di accedere ai contributi comunitari attraverso i meccanismi del Programma di Sviluppo Rurale. La Regione può indirizzare i bandi per questo fine, potrebbe realizzare in proprio o con tecnici esterni[2] un funzionale impianto pianificatorio, con strumenti completi secondo i corretti canoni dell'assestamento forestale per le aree demaniali, un sistema che, viceversa, nell'Isola è ancora assai episodico, per lo più datato, molto eterogeneo e, soprattutto, poco efficiente.


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Senza nulla togliere alla necessità di disporre di un’adeguata ed efficiente struttura di lotta attiva, è debito notare che alle considerazioni relative al costo della selvicoltura fa riscontro il costo comunque molto elevato della macchina di intervento e lotta. Anche qui poche cifre, per avere idea dell'ordine di grandezza. Un aeroplano CANADAIR ha un costo di acquisto di circa 23 milioni di euro, un costo di gestione operativa di circa 10.000 euro per ora di volo. Un elicottero Erikson S64 ha un costo di circa 16 milioni di euro, il costo per ora di volo è di oltre 2500 euro. Un'ora di una squadra a terra, non meno di 200 euro. E solo per la bonifica post incendio può occorrere una decina d'ore per ettaro. Ed a questi si aggiungono i derivati dell’indotto nato attorno all’emergenza: attrezzi, veicoli e abbigliamenti antincendio, riviste del settore, pubblicità. Un meccanismo di spese, investimenti, appalti a società che operano e gestiscono, ognuna di esse con un apparato tecnico, amministrativo e dirigenziale il cui costo grava comunque sul bilancio degli incendi.
Il risultato complessivo è che il costo degli incendi[3] supera abbondantemente i 500 milioni di euro per anno, valore alto, ma che purtroppo non può tenere conto delle perdite di vite umani e dei loro beni, direttamente o indirettamente causate dagli incendi (Fonte CFS, 2015)”. E, limitandosi alla sola cifra, quanto lavoro in bosco potrebbe esser compiuto con un simile ammontare? o con solo la metà di esso? Quanto reddito distribuito tra la popolazione della montagna, e non tra pochi? E non occasionalmente?
In un provocatorio soliloquio Ciancio, nel 1993, si chiedeva se non fosse meglio interrompere bruscamente il costo crescente del sistema incendi-repressione-ripristino lasciando bruciare e solamente interdicendo totalmente l’uso del territorio percorso, per evitare il ricatto del fuoco (rimboschimento – incendio - necessità di nuovi mezzi). E tutto ciò notando che, dopo resoconti e dichiarazioni su ogni mezzo di divulgazione, in autunno d’ogni anno tutto verrà dimenticato fino alla prossima estate. A nuove spese, a nuove emergenze.
Anche senza arrivare a paragoni così caustici e di sfida, la questione riguarda un approccio di fondo, alla domanda se sia più opportuno continuare a investire fondi nell’emergenza e nella lotta attiva oppure non sia meglio consolidare la macchina di lotta e iniziare a investire in pianificazione, prevenzione e in selvicoltura, con ricadute assai più vaste e sostenibili. Ben vengano dunque la gestione del rischio, la pianificazione dell’uso delle risorse e la gestione dell’emergenza, ma occorre che esse siano solo un tassello di una più ampia politica forestale in cui la pianificazione forestale e la selvicoltura, oggi decisamente marginali nel territorio siciliano, abbiano il ruolo principale che loro spetta.
Mentre il bosco brucia e la Sicilia, ancora, aspetta.

Bibliografia

Camerano P., Cullotta S., Varese P. (a cura di) 2011Strumenti conoscitivi per la gestione delle risorse forestali della sicilia. Tipi forestali. Regione Siciliana. pp.192.
Ciancio O.1993 Come evitare gli incendi boschivi. Divagazioni e soliloqui. L’Italia Forestale e Montana, XLVIII 5 312-313.
La Mela Veca D.S., Clementi G., Traina G. 2014. Rimboschimenti e uso energetico della biomassa forestale nei Monti Sicani (Sicilia occidentale).In: (a cura di): La Mela Veca DS; Karniadaki D; Rubino C, Gestione sostenibile delle foreste Mediterranee e uso energetico delle biomasse forestali residuali. vol. 51, p. 10-16, Palermo:Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale, Regione Siciliana.
La Mela Veca, D.S., Cullotta, S., Sferlazza, S., Maetzke, F.G. 2016 Anthropogenic Influences in Land Use/Land Cover Changes in Mediterranean Forest Landscapes in SicilyLand 5, 3.
Leone V. LovreglioR. 2005. Difesa dagli incendi boschivi e contenimento dell’effetto serra. Forest@@@@@@ 2(2):160-165 on line: URL http://www.sisef.it/
MAETZKE F. 2014. Raccordo tra pianificazione forestale e pianificazione antincendi boschivi. In: Portoghesi L., Iovino F., Menguzzato G. (a cura di): Bovio G., Corona P. M., Leone V. , Gestione selvicolturale dei combustibili forestali per la prevenzione degli incendi boschivi.p. 158-161, AREZZO: Compagnia delle Foreste, ISBN: 978-88-905577-9-8
Scarascia Mugnozza G. Oswald H., Piussi P., RadoglouK. 2000. Forest of the Mediterranean region: gaps in knowledge and research needs. Forest Ecology and Management 132, 97-109.




Note

[1]
appunto la protezione del suolo, la regimazione idrogeologica, lo stoccaggio di carbonio atmosferico, i valori paesaggistici, l'attrazione turistica ecc..

[2] dando lavoro ai nostri giovani laureati.....

1 commento:

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