IL RETROSCENA
L’attentato ad Antoci: il controllo dei terreni e il business dei contributi Ue
di Nino Amadore
«Compare, non vale la pena ormai fare le estorsioni ai commercianti, con
i contributi dell’Unione europea si campa alla grande senza rischi». È
un colloquio tra due esponenti della mafia dei Nebrodi ascoltato in una
intercettazione telefonica in una delle tante inchieste avviate in
quell'area. Un'area attentamente monitorata da qualche tempo vista la
pericolosità delle organizzazioni criminali che vi operano e considerato
il grande business derivante dalle truffe all'Unione europea,
dall'abigeato (furti di animali sono sempre più frequenti), dalla
macellazione clandestina. I Nebrodi - teatro della sparatoria contro il presidente dell’Ente parco Giuseppe Antoci -
sono da sempre e negli ultimi anni ancora di più il regno delle
agromafie che hanno agito indisturbate, hanno goduto e godono di
complicità di vario genere: dalla politica ai professionisti. Una zona
grigia che qui è rimasta tale perché, spesso, manca l'elemento
associativo e dunque le inchieste restano limitate a truffe, false
certificazioni, mancati controlli. Agguato al presidente del Parco Nebrodi,
salvato dall’auto blindata e dalla scorta
Le complicità di politici e professionisti
Ma il fenomeno è ampio e la compiacenza, per esempio, di qualche veterinario ha consentito di macellare per buoni animali rubati e magari, a volte, anche malati. Oppure ha consentito in passato di far apparire malati animali sani con l'obiettivo di ottenere contributi per l'abbattimento. Ma la cosa più bella, racconta qualche allevatore che ovviamente non vuole essere citato, è quella che riguarda la certificazione di esistenza in vita di animali che invece esistono solo sulla carta: il veterinario scrive che quell'animale è vivo e invece non è mai esistito. Alla base di tutto, ovviamente, il controllo dei terreni: ci sono famiglie che hanno avuto in concessione fino a mille ettari il che si traduce in un “incasso” annuo di almeno 500mila euro quale contributo da parte dell'Agea (ed è solo una parte di un giro d'affari molto più ampio che riguarda altre indennità): guadagnano 500 euro netti l'anno a fronte di un canone di 50 euro l'ettaro. I terreni possono essere concessi dal Parco, dall'Esa (l'Ente di sviluppo agricolo) oppure dai Comuni che spesso sono proprietari di migliaia di ettari non coltivati e adibiti al pascolo. E proprio i comuni, per responsabilità dei sindaci, sembrano essere l'anello debole di questi controlli previsti dal protocollo firmato dal parco, dall'assessorato regionale all'Agricoltura e dalla prefettura di Messina. In qualche caso, in un'area che va da Mistretta a Tortorici, per gli affidamenti dei terreni continuano a rimanere fermi i bandi, non vengono avviate procedure trasparenti e mentre i vecchi affidatari, che potrebbero anche non avere la fedina penale pulita o essere persino legati alla mafia che conta, restano insediati nelle terre in regime di proroga: l'inerzia dei sindaci espone a rischi quei funzionari che chiedono il rispetto delle regole e si oppongono a procedure non trasparenti. L'attenzione è alta ma nonostante questo c'è chi sembra non accorgersene o non vuole vedere. Altro fenomeno è quello dell'intestazione a più soggetti della stessa particella catastale il che significa che con un solo terreno prendono i soldi più persone. Accade e, dicono gli addetti ai lavori, nessuno controlla.
Quali e quanti possano essere gli affari delle famiglie mafiose dei Nebrodi e soprattutto quali cosche continuano a comandare da queste parti, è stato raccontato con dovizia di dettagli dal senatore Beppe Lumia, componente della commissione parlamentare Antimafia. Quella commissione che, per voce del presidente Rosi Bindi, ha già preso impegno con il presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci per una grande manifestazione antimafia proprio da queste parti. Il materiale su cui fare una riflessione è ampio sia sul fronte di Tortorici e dunque in provincia di Messina, sia sul fronte di Enna e in particolare nell'area di Troina. Già un anno fa Lumia si è rivolto al ministro dell'Interno Angelino Alfano per chiedere quali iniziative intenda prendere per tutelare l'incolumità di Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi e già bersaglio di intimidazioni insieme al presidente della Regione Rosario Crocetta; del commissario dell'Ente di sviluppo agricolo Francesco Calanna e del sindaco di Troina Fabio Venezia, anche lui finito nel mirino delle organizzazioni criminali. Secondo Lumia, gli interessi sui terreni da utilizzare per il pascolo e per la vasta area boschiva.
Chi comanda sui Nebrodi
Lumia spiega come il controllo mafioso nell'area dei Nebrodi sia capillare: «Le tecniche estorsive utilizzate dalle famiglie mafiose dei Nebrodi, la cui attività si spinge anche nella zona nord della provincia di Enna, sono rimaste quelle di un tempo – si legge nell'interrogazione -: la «messa a posto» perpetrata ai danni di imprenditori e commercianti tramite la corresponsione di ingenti somme di denaro; l'imposizione di forniture e di manodopera; la cosiddetta estorsione con il «cavallo di ritorno», realizzata attraverso il furto di automezzi, macchine agricole, mezzi di lavoro operanti in cantieri, seguito dalla richiesta di denaro per la successiva restituzione del maltolto».
Ma chi è che comanda nell'area del tortoriciano? «Esponenti di spicco del clan mafioso dei tortoriciani – scrive Lumia – sono, oltre ai Galati-Giordano, anche i Bontempo Scavo ed i fratelli Calogero e Vincenzino Mignacca, latitanti dal 2008 e catturati nel novembre 2013 grazie ad un blitz dei carabinieri del Gis (gruppo di intervento speciale), durante il quale il secondo, pur di non consegnarsi allo Stato, si è suicidato. Dalla relazione annuale sulle attività svolte (nel periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013) dal procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia si apprende «nel corso delle indagini effettuate per la ricerca dei latitanti Mignacca, la P.G. operante apprendeva dell'esistenza di un accordo in essere tra le famiglie mafiose dei Bontempo Scavo e dei Batanesi, volto al controllo del territorio nebroideo. Dalle informazioni acquisite – scrive ancora il senatore – emergeva che, poiché la famiglia Bontempo Scavo era stata fortemente limitata dagli arresti avvenuti negli anni precedenti e decapitata dei suoi capi storici, al fine di non perdere il controllo del territorio in favore di altre famiglie (in particolare quelle barcellonesi) e per mantenere gli equilibri, aveva concordato che la gestione del territorio fosse attuata dai componenti della famiglia dei Batanesi in cambio del 50 per cento dei proventi delle attività illecite».
L'importanza della mafia di Enna
Non meno pericolosa è la mafia di Enna che «non va sottovalutata – dice Lumia – perché è sempre stata un'organizzazione potente e legata all'assetto di vertice del momento, di tale affidabilità che è stata scelta come sede dove svolgere i summit di mafia che hanno dato vita alla stagione delle stragi del 1992 (stragi di Capaci e di via d'Amelio che hanno avviato la «stagione stragista»). Per questo, Cosa nostra di Enna è stata guidata da boss in grado di interloquire con le istituzioni in una logica collusiva, come Raffaele Bevilacqua, capo provinciale e contemporaneamente politico, Salvatore Gesualdo e Giancarlo Amaradio, di recente destinatari di ulteriori ordinanze di custodia cautelare. Occorre, altresì, dare atto che l'operatività di Cosa nostra nella provincia di Enna è stata da sempre condizionata dall'incisiva influenza delle organizzazioni mafiose radicate nei più importanti centri limitrofi (nel caso di specie Cosa nostra catanese) che hanno da sempre considerato di interesse il territorio ennese». A questa mafia, forte e radicata, avrebbero dato fastidio con le loro scelte amministrative sia il sindaco di Troina che il presidente del Parco dei Nebrodi: «Al Comune di Troina (Enna)- scrive Lumia – appartiene la gestione di una grossa area boschiva sui Nebrodi, circa 4.200 ettari, che sembra essere oggetto di interesse da parte di alcune famiglie mafiose tradizionalmente legate alla mafia dei Nebrodi (Tortorici, Cesarò, San Fratello, Maniace, Montalbano Elicona, Castell'Umberto); nel tempo non sono mancate pressioni e tentativi di condizionamento da parte di tali famiglie per la gestione di questo immenso patrimonio boschivo, da cui si ricavano ingenti risorse finanziarie attraverso i contributi dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura; da quanto esposto si evince che i maggiori interessi economici di queste famiglie mafiose sono rappresentati dalla gestione diretta dei pascoli boschivi sui Nebrodi di proprietà del Comune di Troina e dell'Ente Parco dei Nebrodi. Che sarebbe esercitata anche attraverso il controllo del territorio e la perpetrazione di una serie di reati, per lo più estorsioni, furti e danneggiamenti, volti ad affermare la supremazia criminale e a scoraggiare altri eventuali contraenti nella gestione di questi terreni».
Il caso Troina
Di particolare rilievo e preoccupante è la situazione a Troina: «Con l'elezione della nuova amministrazione comunale (giugno 2013), guidata dal sindaco Fabio Venezia – dice Lumia – , si è aperta una nuova stagione di legalità e sono venuti meno certi «appoggi» che garantivano, attraverso un'attenta ed oculata copertura, il perseguimento dei lucrosi interessi economici, uno dei primi atti del nuovo sindaco è stato la rimozione immediata del vecchio consiglio d'amministrazione dell'azienda silvo pastorale, il licenziamento del direttore tecnico, destinatario di un decreto di rinvio a giudizio per falso in atto pubblico allo scopo di ricoprire quell'incarico; il tentativo, da parte del sindaco Venezia, di far luce su questi aspetti, di avviare la procedura di evidenza pubblica nella stipula dei contratti e la volontà di aumentare il canone di affitto per i contratti in scadenza ha messo in fibrillazione il sodalizio criminale che ha mostrato una certa insofferenza per questo nuovo corso, manifestando «avvertimenti» e chiari segnali intimidatori nei confronti dell'azienda ed in particolare verso il sindaco».
Qui, a Troina, è «sintomatica l'azione criminosa della famiglia Conti Taguali (Batanesi di Tortorici), poiché sembra abbia stipulato un contratto d'affitto con l'azienda di circa 1.200 ettari – scrive Lumia -. Tra i firmatari dei contratti d'affitto compaiono diversi esponenti legati alla cosca tortoriciana dei Bontempo Scavo, il cui capo, Cesare Bontempo Scavo, attualmente detenuto in carcere, intrattiene legami parentali con Giuseppe Conti Taguali detto “u zzu Pippinu”, firmatario dei contratti. Lo stesso Conti Taguali è cognato del pluripregiudicato Sebastiano Pruiti, già personalità di spicco del clan dei Batanesi di Tortorici, ucciso in un agguato mafioso nel territorio di Troina nel 1995. Gaetano Conti Taguali, figlio di Giuseppe, anch'egli pregiudicato e firmatario dei contratti di affitto relativi a terreni dell'azienda, in passato si è reso protagonista di estorsioni e furti nelle campagne troinesi. In particolare, nel giugno 2012 ha tentato un'estorsione ad un'impresa edile che stava realizzando lavori nella strada statale 575».
18 Maggio 2016
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