L'ANALISI
Crocetta resta dov’è perché adesso è debole. Così il Pd si spartisce i brandelli della Sicilia
di Accursio Sabella
Commissariato da Roma sui conti e ingabbiato dai partiti in giunta, il presidente ormai non governa più. Nemmeno nel settore scelto come simbolo della sua rivoluzione: quello della Formazione. In compenso, i democratici delle varie fazioni hanno conquistato assessorati, poltrone di sottogoverno e posti di comando all'Ars. Da lì provano a gestire ciò che resta dell'Isola.
PALERMO - Gli hanno tolto di mano persino il "Piano giovani". Dopo la gestione dei conti, la libertà in giunta, la visibilità mediatica e quel che restava del suo cerchio magico. Crocetta è sempre più debole. E proprio per questo motivo, quasi certamente, resisterà fino alla fine della legislatura. Perché il presidente, chiaramente commissariato, ha visto restringersi gli spazi del suo potere e della sua visibilità in cambio degli anni che restano da qui alla fine del quinquennio. Un’operazione che porta la targa del Partito democratico. Per una volta accomunato in un unico progetto, che ha sorvolato fazioni e differenze: annullare Crocetta per poter gestire finalmente – e davvero – il potere della Regione.
Ovviamente, l’operazione dei democratici ha un costo. Quello legato al fatto di doversi assumere da adesso in poi e apparentemente senza più alibi la responsabilità di quello che verrà. Provando a segnare un solco immaginario tra il nuovo corso della legislatura, e la prima parte di questa, quando il Pd c’era, eccome. Ma era in qualche modo sovrastato dalla personalità del governatore, nutrita da qualche slogan andato a segno e a qualche azione che sul nascere sembrava portare i germi di quella tanto annunciata rivoluzione. Poi, però, complice l’inconsistenza amministrativa, gli sfortunati consigli dei collaboratori, una sostanziale superficialità politica, agli annunci è seguito il nulla, la confusione, gli strafalcioni, il fallimento di settori e comparti e con questi il calo della popolarità del presidente. Ed è lì che il Pd ha iniziato a prendere campo. Ogni fazione nella direzione che ha preferito. E recitando il ruolo più adatto. Giocando, ad esempio, a lanciare avvertimenti e minacce politiche da Roma salvo poi riempire giunta e sottogoverni di fedelissimi; o vestendo i panni dello stratega-pontiere in grado di allargare l’alleanza ai moderati per far fuori qualche aspirante “futuro” democratico; o ancora richiamandosi al “senso di responsabilità” così importante in questi frangenti da paralizzare Regione e Assemblea per le beghe di partito. Ognuno per conto suo, insomma. Ognuno con i suoi abiti. Ma ciascuno conquistando, giorno dopo giorno, una yard sul campo del governatore. Che ha dovuto arretrare, passo dopo passo, di fronte agli attacchi di Faraone e Raciti, Cracolici e Lupo. A poco a poco, sempre più nelle retrovie. Da dove ha dovuto accettare i tanti odiati alfaniani, mettere dentro la giunta i politici, persino quelli che furono di Cuffaro e Lombardo, e lasciando le chiavi della cassa all’inviato speciale di Renzi, cioè l’assessore Baccei.
Così, oggi, al governatore altro non è rimasto che il ruolo di paravento. Indirizzo al quale recapitare gli improperi di lavoratori e parti sociali. Nel frattempo, il Pd si spartisce i brandelli di carne di questa Regione. Come si faceva una volta. Scegliendo ad esempio la sempre strategica posizione delle Risorse agricole, conquistata da Antonello Cracolici, o quella del Turismo sui quali Lupo ha piazzato la propria bandierina rappresentata dal deputato Anthony Barbagallo, della Formazione che una volta fu della studentessa rivoluzionaria Nelli Scilabra e oggi in mano a un esperto cuperliano come Bruno Marziano.
Dei conti, abbiamo detto. È il Pd romano a portare a spasso la borsa della Sicilia. E a Crocetta non è rimasto che passare da Baccei (accade sempre più spesso) per chiedere: “Questa cosa si può fare?”. E di fronte alle richieste, i no sono sempre più frequenti, perché Roma vorrebbe questo, perché Roma auspicherebbe quest’altro, e perché Roma attende un segnale virtuoso, come garanzia del vero cambiamento. Altrimenti, niente soldi. E quindi niente bilancio. Cioè la rivoluzione (quella vera però, quella delle persone in piazza) o il fallimento economico.
E così, a Crocetta è rimasta qualche comparsata televisiva (sempre meno, a dire il vero), qualche bluff da giocarsi a ogni finanziaria, come il “reddito minimo” previsto nell’ultima legge di stabilità senza nemmeno quantificare il finanziamento utile a sostenere questo strumento o qualche scampolo di autorevolezza affidata al “premio per il siciliano emerito” che il governatore ha deciso di consegnare ogni febbraio. Mentre rinasce persino un ufficio stampa chiuso con le stesse motivazioni che stanno alla base della nascita del nuovo. Anzi, forse siamo anche oltre. Perché quegli addetti stampa che verranno chiamati direttamente dal presidente e dagli assessori e che avranno un rapporto di lavoro legato alla durata del mandato degli stessi e ai loro umori del momento, altro non appare se non un ulteriore strapuntino a quegli uffici di gabinetto invasi da dirigenti di partito, rappresentanti locali, consiglieri comunali, giovani attivisti, spicciafaccende, amici, fidanzati e fidanzate. Tutti col marchio ben in vista del partito e del politico di riferimento.
Molti di questi, portano il simbolo del Partito democratico e di quelle forze che appaiono come al rimorchio, legati ma non ancora una cosa sola col renzismo ufficiale e ortodosso (che poi altro non è in Sicilia se non un elogio alla tolleranza e soprattutto all’amnesia). Così, mentre Crocetta è nell’angolo, da dove si vede affossare manovre, mutui, Dpef e persino la ricapitalizzazione di Riscossione Sicilia, il Pd e i suoi cugini bivaccano tra le macerie della Regione. Con l’avidità di chi da tempo non si siede a tavola (e dire che tra Lombardo e Crocetta, invece, i democratici sono al governo ormai da sette anni). Senza lasciare nulla a nessuno. Otto assessorati su dodici fanno riferimento al Pd e ai renziani di Sicilia Futura guidati da Totò Cardinale. Sei presidenti di commissione su sette appartengono agli stessi partiti. Che non lasciano niente a nessuno. Anche in vista delle prossime elezioni. Tutti seduti attorno alla stessa tavola, come le cene di capodanno dei parenti serpenti. Pronti a consumare ogni pezzo di carne dell’Isola. Salvo poi essere pronti ad alzare le mani e a indicare il signore seduto a capotavola. Lo stesso che, solo con la sua presenza, consente che la cena possa proseguire ancora un po’. Quello al quale recapitare proteste e reclami: “La Sicilia è a pezzi? E’ stato Crocetta”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
09 Gennaio 2016
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