L'ANALISI
Deputati, assessori “simbolo”, cerchio magico. Lo hanno abbandonato tutti: Crocetta ora è solo
di Accursio Sabella
I “suoi” parlamentari hanno deciso di cancellare dal gruppo il riferimento al Megafono. È solo l'ultimo addio, dopo quelli di Lucia Borsellino, di Linda Vancheri e di qualche fedelissimo. E adesso della rivoluzione non resta davvero più nulla
PALERMO - Non ha mai negato di sentirsi “solo da sempre”. Solo al governo, solo in giunta, solo – perché diverso dai compagni di partito – nel Pd. Ma oggi Rosario Crocetta è rimasto solo davvero. Perché al di là dei romantici richiami del governatore a una solitudine sofferta, ma in qualche modo obbligata – quella del “condannato a morte dalla mafia”, quella del “rivoluzionario sopra le righe” - Saro da Gela si è circondato in questi anni di compagni di avventura, sui quali anzi, in qualche caso, ha anche poggiato la sua scalata a Palazzo d'Orleans. Grazie ai quali ha irrigato i campi via via sempre più aridi della sua “primavera” mai arrivata.
Adesso sono andati via anche i deputati del Megafono. Uno sfregio al presidente, quello della cancellazione, dalla denominazione del gruppo parlamentare, del riferimento al movimento di Crocetta. Un movimento che non era solo, a suo modo, la bandierina con la quale dimostrare, appunto, quella “diversità” dal resto. Ma è stato, in un certo senso, il simbolo della sua elezione. Stretto in mano, nei primi giorni della campagna elettorale, quando Crocetta girava indossando impegnative giacche color turchese, poi virate in un più serioso blu grazie ai suggerimenti dei consulenti all'immagine. E anche il graduale passaggio da una sfumatura cromatica all'altro, ha accompagnato l'“istituzionalizzazione” e contemporaneamente – un paradosso, a pensarci bene – l'isolamento del presidente. Sempre meno influente, sempre meno presente, sempre meno incisivo. Messo all'angolo dai partiti. E lasciato lì. Sempre più solo.
Perché il Megafono che decide di non chiamarsi più Megafono altro non è che una presa di distanze – seguiranno smentite e distinguo, ne siamo certi – da una politica e da un governo che gli stessi deputati smarcati dal Movimento hanno pesantemente contestato già nei mesi scorsi anche con note ufficiali. Scompare quindi, almeno da Sala d'Ercole, l'aggeggio che avrebbe dovuto portare nelle piazze e per le strade siciliane la lieta novella della rivoluzione. Una scelta, a dire il vero, che profuma un po' di ingratitudine, per quei parlamentari che – senza un consenso, senza un elettorato - si trovano lì proprio perché tre anni fa decisero di attaccarsi al treno dell'ex sindaco gelese. Che allora andava forte.
Anche perché insieme al Megafono, Crocetta “brandiva” altri simboli del cambiamento. Incarnati in un cognome, soprattutto. Quello di Lucia Borsellino. Che andava a comporre, in quei mesi, un vero tandem col presidente. È stata la figlia di Paolo a ricevere la prima “investitura” in giunta. Si partiva da lì. Era quello il cuore della rivoluzione. Ma la storia è finita da un po'. Ed è finita perché Lucia ha deciso di sbattere la porta e andare via. Per ragioni “di ordine etico e morale” che, è apparso chiaro negli interventi successivi alla lettera d'addio, andavano ben oltre le polemiche legate alla presunta intercettazione tra il governatore e l'ex primario amico Matteo Tutino. Nel frattempo – segnali opposti che portavano alla stessa direzione – al posto della Borsellino entravano i partiti. Rappresentati dall'allora capogruppo del Partito democratico, Baldo Gucciardi. Mentre a dire il vero poco prima era arrivato anche Giovanni Pistorio, non solo il segretario regionale dell'Udc, ma anche un rappresentante di quel passato dei governi Cuffaro e Lombardo che il presidente avrebbe allontanato a colpi di Megafono. Nei mesi in cui entrava Pistorio, altri abbandonavano Crocetta. È il caso dell'avvocato Nino Caleca: “Si avvertono segni di ritorno al passato”. Non si è sbagliato di molto.
Ma un altro addio avrebbe assunto una portata politico-simbolica persino maggiore. Anche un'altra delle intoccabili (cioè uno degli assessori mai sfiorati dai continui rimpasti) abbandonava Crocetta: Linda Vancheri portava via con sé l'impegno ufficiale della Confindustria nel governo regionale. Un passo indietro che avrebbe preceduto di poco la scissione violenta tra gli industriali. Gli stessi che Crocetta aveva individuato come propri “compagni di strada”, grazie ai quali “tutto è cominciato”. Poco male. Crocetta dimenticherà presto Linda Vancheri e lancerà apertamente Antonio Fiumefreddo, quasi “snobbando” il lavoro compiuto in quegli anni da quella che Crocetta aveva considerato una propria “preferita”.
Ma lo strappo della Confindustria porta con sé nuovi abbandoni per il presidente. Quello di Alfonso Cicero, considerato un altro dei fedelissimi del presidente, ha sollevato dubbi persino sulla “moralità” del governatore: “Mi ha fatto richieste indicibili”. Accuse rincarate da Marco Venturi. Anche Cicero insomma dirà “grazie, ma vado via”.
Mentre il cerchio magico del presidente perdeva pezzi a causa degli interventi delle varie procure. A dire il vero, la pesante sentenza dei giudici contabili non intaccherà né il ruolo né l'influenza di Patrizia Monterosso. Ma le inchieste della Procura di Palermo costringeranno il governatore prima a prendere le distanze – almeno ufficialmente – dall'ex primario Tutino e dallo stimatissimo (dal presidente) manager Giacomo Sampieri. E in tempi più recenti da Anna Rosa Corsello, che per anni ha ricevuto da Crocetta le “chiavi” della Formazione e del Lavoro. Tutti via. Per un motivo o per un altro. E così, di quella rivoluzione d'ottobre non rimane nulla. Crocetta è solo. In una casa invasa dai parenti-serpenti rappresentati dai partiti. Che hanno deciso di lasciare per lui una stanzetta. E il governatore che una volta voleva fare la rivoluzione ha deciso che, tutto sommato e in attesa che arrivi lo sfratto da Roma, va bene così.
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17 Gennaio 2016
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