RELAZIONE MANNINO VI CONGRESSO FLAI
Questa stagione Congressuale si svolge nel pieno della più grave e lunga crisi economica e sociale che il Paese attraversa dal dopoguerra ad oggi. A rendere ancora più preoccupante e deficitaria la situazione in cui versa l’Italia, è il fatto ch qeuesta crisi economica è accompagnata da una profonda crisi istituzionale, generata da una crisi strutturale del nostro sistema politico, che vive una perpetua fase di transizione priva di contenuti e prospettive, tesa, piuttosto, agli insulti e alla litigiosità e nella quale i problemi reali del Paese non occupano minimamente l’agenda dell’azione di Governo ormai da lunghi anni.
Questa condizione determina un immobilismo del sistema politico ed istituzionale, incapace di aggredire le criticità che stanno alla base di questa congiuntura economica dovuta essenzialmente alla crescente diseguaglianza sociale.
È, ormai, consapevolezza un po’ di tutti che le diseguaglianze sociali sono la causa e non gli effetti di questa crisi.
L’ultima indagine della Banca d’Italia fotografa in maniera ottimale la condizione e le contraddizioni del nostro Paese. Questa indagine dice essenzialmente due cose:
la prima, che i ricchi sono sempre più ricchi; il 10% della popolazione possiede, infatti, il 46,5% della ricchezza, dato che, negli ultimi due anni, è salito del 2%;
la seconda, che il 16% della famiglia vive con meno di 640 euro al mese; ma ciò che è di allarme assoluto allarme è la percentuale che nel sud raggiunga il 24,7% .
Questo studio certifica la condizione di difficoltà che vive gran parte del Paese, ma soprattutto certifica che le politiche economiche sin qui adottate non hanno contrastato il crescere delle diseguaglianze sociali che, addirittura, sono state alimentate con la conseguenza che si è aggravato ancor di più il malessere nel Paese.
Insomma, è stata adottata una politica economica inadeguata per contrastare la crisi che non ha affatto rimosso le cause che l’hanno determinato.
Di fronte al calo del potere di acquisto di salari stipendi e pensioni, bisognava innanzitutto intervenire con una diversa politica fiscale abbassando il costo del lavoro ed il prelievo sui redditi da lavoro, adeguando la tassazione sulle transazioni finanziarie alla media europea (oggi ferma al 12,5%, ben 10 punti in meno rispetto alla tassazione da lavoro) e istituendo finalmente una patrimoniale sulle grandi ricchezze mobiliari ed immobiliari, contrastare efficacemente l’evasione e l’elusione fiscale investendo le risorse recuperate nell’aree deboli del paese e far ripartire l’economia e rilanciare la domanda interna.
Nel bel mezzo della risi quindi ha causa delle politiche fin qui adottate l’Italia si trova ad essere ultimo per competitività delle aziende, in fondo alle classiche per i livelli di occupazione è ai primi posti per la pressione fiscale. Tutto questo è stato accompagnato da una riforma previdenziale che ha reso il nostro sistema tra i più rigidi ed iniqui dell’Europa, ha cancellato ogni legame tra dinamiche previdenziali e la realtà del mercato del lavoro. Una riforma che ci è stata imposta in nome dei giovani ma che in realtà penalizza soprattutto loro oggi con il blocco del turnover domani con la previsione di pensioni inadeguate. E’ un nostro dovere mettere in campo una azione sindacale in grado di determinare le condizioni politiche e sociali affinchè la riforma Fornero venga radicalmente cambiata.
Come categoria non possiamo accettare che i braccianti agricoli siano costretti ad andare in pensione a 67 anni non a caso in buona parte delle nostre assemblee congressuali di base sono state proposti ed approvati ordini del giorno tendente a considerare usurante il lavoro dei braccianti agricoli in sintonia con quanto proposto nella piattaforma del contratto degli operai agricoli in cui si prevede di concordare con la controparte datoriale un avviso comune che favorisca tale riconoscimento per molte figure professionali del mondo agricolo. Se il paese attraversa una fase assai delicata il mezzogiorno rappresenta l’area del paese che più sta subendo le ripercussioni maggiori dell’attuale crisi che ha riaccudizato la debolezza strutturale del sistema produttivo che ha ricadute sul piano sociale tale da determinare una vera e propria emergenza democratica. In questi anni, infatti, la crisi tende ad infierire in quei contesti produttivi già di per se poveri. Contesti dove l’ulteriore destrutturazione del tessuto produttivo comporta che alla fine di questa crisi interi pezzi del sistema produttivo vengono persi per strada con il rischio concreto che alla fine della crisi rimarrà un deserto dal punto di vista produttivo.
In Sicilia, quindi, come nel resto del mezzogiorno oltre agli effetti della attuale crisi paghiamo la endemica debolezza strutturale del nostro apparato produttivo, determinato da decenni di errori in cui sono stati prodotte scelte strategiche sbagliate accompagnate da atti e fatti politici che hanno favorito sprechi e malaffare di una classe di governo che ha pensato esclusivamente ad alimentare un consenso clientelare fine a se stesso senza preoccuparsi dì affrontare con determinazione le criticità del nostro apparato produttivo.
Criticità determinate, innanzitutto, da condizioni di contesto che non favoriscono il sistema produttivo a causa dell’ assenza o ineguatezza di infrastrutture materiale ed immateriali.
Sul piano dei trasporti la Sicilia ha una carente dotazione autostradale ed una rete ferroviaria di qualità scadente. Le infrastrutture portuali ed aeroportuali sebbene presentano una buona diffusione territoriale sono caratterizzate da una criticità dovuta da un dimensionamento non adeguato rispetto alle esigenze economiche della Sicilia ma quello che a mio avviso è un fattore che limita fortemente il nostro apparato produttivo sono le criticità emergenti nelle infrastrutture energetiche che sono un vincolo alla modernizzazione del nostro apparato produttivo.
Per tale ragione vanno spese con oculatezza i fondi strutturali per quelle infrastrutture funzionali per il rilancio del nostro sistema produttivo. Negli ultimi anni l’isola è diventata terra di immigrazione, soprattutto di giovani diplomati e laureati che qui non riescono ad affermare a pieno le proprie ambizioni e non vengono messi nelle condizioni di costruirsi un futuro dignitoso. Il fenomeno dell’immigrazione giovanile impoverisce ancor di più il tessuto sociale della nostra terra è ne limita la possibilità di rilancio economico.
Nell’Ottobre del 2012 con l’elezione a Presidente della Regione di Rosario Crocetta in molti siciliani vi era la speranza che finalmente in questa terra si potesse aprire una nuova stagione politica in grado finalmente di avviare una stagione di profonde riforme sia dal punto di vista politico ed amministrativo sia dal punto di vista economico e sociale. Crocetta ed il suo governo hanno avuto il merito di far accendere i riflettori su parecchi fenomeni di mala politica che alimentavano clientele e ruberie in parecchi settori dell’amministrazione Regionale, tali pratiche, però, hanno sottratto negli anni risorse economiche che potevano essere destinate alla crescita della Sicilia.
Purtroppo a fronte di tale coraggiosa e necessaria azione di moralizzazione non è corrisposta una adeguata azione politica ed amministrativa volta ad aggredire i problemi atavici, prima citati, che ostacolano la crescita della nostra isola. Certo gli errori del passato limitano parecchio l’azione dell’attuale governo come è apparso evidente con la vicenda dell’ultima finanziaria regionale.
Ma al netto di tale difficoltà si ha la percezione che al di là dei proclami siamo in presenza di una classe di governo priva di una strategia chiara ed una visione strutturata di quale azione intraprendere per dare concretezza a quella “ rivoluzione “ tanto annunciata quanto necessaria.
Sono mancati segni tangibili di discontinuità, infatti, non si è provveduto ad una riqualificazione della spesa della regione che avesse come obbiettivo il taglio alle spese improduttive e agli sprechi liberando risorse necessarie da destinare allo sviluppo e per tutelare le fasce più deboli.
In questi mesi non si è provveduto ad una riforma della macchina amministrativa (e quando lo si fa avviene in maniera confusa e pasticciata ) e non si sono minimamente avviate le necessarie riforme economiche.
Il rilancio dell’apparato produttivo presuppone in primo luogo una riprogrammazione dei fondi europei specie in un settore strategico quale è il settore agro alimentare ambientale con una diversa rimodulazione della programmazione 2007 -2013 del PSR indirizzando le risorse verso quelle misure volte a favorire iniziative tendenti alla concentrazione dell’offerta produttiva e sostenendo quei progetti di filiera che vanno dalla produzione alla commercializzazione dei prodotti passando per la trasformazione .
Intraprendendo iniziative di marketing volte alla promozione delle nostre eccellenze e alla valorizzazione del nostro territorio inoltre è necessario utilizzare i fondi strutturali per rimuovere quelle criticità di contesto sopra evidenziate.
Cosi come è necessario favorire con opportuni interventi anche di natura normativa la costituzione dei distretti rurali ed agro alimentari. Così infatti è inconcepibile visto la multifunzionalità della nostra agricoltura che la Sicilia a differenza di tante altre regioni Toscana non sia dotata di una normativa sui distretti rurali utili per integrare le attività agricole con le altre attività economiche coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
Certamente è da apprezzare lo sforzo della Regione Siciliana di dotarsi di uno strumento legislativo avanzato per contribuire alla creazione e allo sviluppo dei distretti produttivi in Sicilia, rimane però il limite oggettivo che i distretti produttivi non si creano solo con i decreti, ma sono il frutto di numerosi elementi di natura economica sociale e culturale e di un processo evolutivo in cui anche le istituzioni locali ed il quadro del partenariato sociale devono svolgere un ruolo più incisivo e determinante
Affinchè l’attività normativa della Regione non risulti vana è necessario che le imprese e le istituzioni operino per creare un tessuto di reti economiche e sociali coeso e allo stesso tempo si adoperi in modo deciso a creare le infrastrutture materiali e immateriali necessari per lo sviluppo dei distretti.
Ciò deve avvenire attraverso interventi mirati a garantire la sicurezza e la legalità nel territorio, che tutelino gli investimenti delle imprese e promuovano più in generale la cultura della legalità e della trasparenza altrettanto importante è la politica dell’istruzione finalizzata alla crescita della cultura d’impresa e non dell’assistenzialismo, questa politica deve contribuire anche alla diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica, al fine di migliorare la qualità delle risorse umane. Fondamentale è una politica volta a creare una amministrazione pubblica più snella, meno pervasiva e costosa, che deve dare prova di buon governo ed efficienza. Infine, fra gli investimenti prioritari in infrastrutture vi sono il potenziamento e il miglioramento delle reti di trasporto, della logistica, dell’energia, della rete idrica, della banda larga, ecc, e proprio per questo si rende indispensabile che le risorse della nuova programmazione (2014-2020) vengono indirizzate per intervenire in questi fattori .
Per quanto riguarda il comparto Forestale da anni rivendichiamo maggiore attenzione al settore ed ai suoi addetti, per tutelare le aree montane e lo sviluppo rurale dove ancora oggi la forestale assume un rilevante ruolo non solo sociale ed economico, ma anche di tutela dell’ambiente, di prevenzione del dissesto idrogeologico e per la stabilità demografica delle aree interne. Manca ancora una seria programmazione politica a tutela del settore che punti ad un nuovo sistema agro-forestale-ambientale capace di invertire la tendenza, passando da una logica assistenziale ad una logica di effettiva tutela dell’ambiente e di contrasto al dissesto idrogeologico e nel mettere a reddito alcune attività forestali.
Fai, Flai e Uila, in questi anni si sono impegnate, assieme a tutta la categoria, dando un valido contributo per determinare un nuovo percorso funzionale a valorizzare la risorsa bosco presentando, proposte di riordino delle legge di settore con l’adozione di un testo unico quale strumento funzionale a determinare un nuovo sistema agro – ambientale- forestale. Purtroppo riscontriamo, nonostante le nostre iniziative, anche su questo settore annunci e scelte confuse e irrazionali (basta vedere la formulazione iniziale dell’art. 12 della finanziaria regionale in cui si prevedeva tra l’altro blocco del turnover ) utili solo ad alimentare un clima di incertezza e di sfiducia dei lavoratori. L’unico dato certo è che in questi 2 anni i lavoratori forestali hanno visto diminuire il loro reddito di circa il 30 % certo da un governo che ai suoi esordi annunciava di non dover fare macelleria sociale ci aspettavamo ben altro atteggiamento tenuto conto del valore sociale dell’attività di questi lavoratori.Va ricordato che proprio a seguito delle proposte formulate dal governo in questa ultima finanziaria che è saltato il tavolo di confronto in cui si doveva discutere della piattaforma elaborata dalle organizzazione sindacale.Noi vogliamo puntare con piani pluriennali all’acquisizione di nuovi demani forestali, al fine di incrementare di oltre il 50% la superficie boscata che attualmente si attesta intorno al 12% a fronte di una media nazionale del 28.80%, differenza ancora più significativa specie se confrontata con gli indici delle altre regioni (Liguria 69% o Toscana 43%).
Proponiamo ancora, all’interno della nostra piattaforma, la prevenzione e la lotta agli incendi boschivi, congiuntamente alla riorganizzazione dell’attività vivaistica per la produzione e la diffusione delle specie autoctone.
È opportuno e necessario sostenere quella Forestale produttiva con una serie di attività, tra cui:
la selvicoltura da legno per produrre quelle masse legnose da destinare all’industria dell’artigianato o all’uso energetico;
la valorizzazione dei prodotti non legnosi
* alimentari (funghi);
* materiale da decorazione (licheni, muschi ecc.);
la funzione turistico ricreativa (agriturismo, escursionismo ecc);
la realizzazione di servizi socio culturali e didattiche.
Queste, insieme a tante altre attività creerebbero, senza dubbio, maggiore opportunità di lavoro e maggior reddito non solo ai lavoratori del settore ma a tutte le comunità rurali.
Ma una seria riforma del settore passa attraverso una maggiore stabilità occupazionale puntando a prevedere per legge quanto concordato nel 2009 con il governo regionale.
Emerge in maniera sempre più evidente la necessità della costituzione di una cabina di regia che possa monitorare tutti i finanziamenti afferenti al settore, assicurando la continuità e l’adeguatezza dei flussi finanziari coordinando gli interventi di tutti i soggetti.
Questa, in sintesi, è la nostra proposta unitaria e non capiamo perché, nonostante l’Italia abbia siglato il protocollo di Kioto, assumendo un impegno per la riduzione dell’emissione dei gas nell’atmosfera e per l’ampliamento della superficie boschiva, non vi sia nessuna apertura per trattare e risolvere i problemi della forestale siciliana e dei suoi lavoratori da parte del governo Regionale.
Una maggiore superficie boscata serve anche a limitare e diminuire il dissesto idrogeologico che da noi è molto diffuso come dimostrano i tragici fatti avvenuti in questi anni e che pone questa regione tra le prime cinque d’Italia con i suoi 53 mila ettari, fra dissesto superficiale e dissesto profondo, che sono pari al 2% della superficie regionale.
Ma un diverso modo di gestire il settore passa attraverso un automatico recepimento del C.C.N.L. e la sottoscrizione del C.I.R.L., scaduto da oltre un decennio negando così ai lavoratori ulteriori incentivi salariali ed una migliore organizzazione del lavoro.
Bonifica *
Il titolo del nostro congresso “ Il lavoro Agro Alimentare Ambientale, decide il futuro del nostro territorio “ nasce dalla consapevolezza che il rilancio economico di questo territorio non può prescindere dalla crescita di questo settore che ha enormi potenzialità ma che purtroppo fino ad oggi sono in grande parte inespresse la nostra agricoltura ha una varietà e tipicità di assoluto valore a partire dal comparto agrumicolo con le arance rosse e con i limoni de3lla zona Jonica, il pistacchio di Bronte, le mele e le ciliegie dell’Etna, le qualità della nostra viticultura che negli ultimi anni ha avuto una notevole espansione con una capacità di produrre dell’ottimo vino rosso con i vitigni dell’Etna, la fragolina di Maletto così come è di indubbio valore la produzione del nostro Olio Dop dell’Etna.
La nostra provincia vanta il più alto numero di prodotti tipici a marchio di qualità e tuttavia nonostante la qualità dei nostri prodotti abbiamo un apparato produttivo agricolo debole ed incapace di svilupparsi adeguatamente in modo da creare sviluppo e benessere per le nostre comunità.
Nella nostra provincia in questo settore vi sono parecchie aziende in crisi e anche sul piano occupazionale abbiamo nell’ultimo anno dei dati preoccupanti infatti nonostante ritenessimo questo un settore anticiclico e quindi al riparo degli effetti della crisi si sono abbattuti ulteriori criticità in un contesto che già presentava parecchi problemi di carattere strutturale
L’agricoltura nel nostro territorio è fortemente parcellizzata, e presenta una forte frammentazione produttiva e dell’offerta ed una scarsa propensione a fare filiera, paga le conseguenze di un sistema commerciale e distributivo molto opaco ma ciò che più ne limita le potenzialità e la modesta capacità di lavorazione e trasformazione dei nostri prodotti agricoli basta pensare che l’agricoltura siciliana è al 2 posto per valore aggiunto dei prezzi di base ma l’industria alimentare siciliana e al 6 posto per produzione è commercializzazione dei prodotti. Questo scarto ci dice quanto ci sia ancora da fare per una vera politica di filiera ma soprattutto ci dice le potenzialità oggi non sfruttate di questo settore anche in termini occupazionali basti pensare che in Sicilia le 2400 aziende alimentari occupano appena 16000 addetti emblematica è la totale assenza della istituzione di trasformare in concentrati dei succhi di agrumi nonostante che su questo tipo di prodotti non esistono competitori mondiali per la semplice e banale considerazione che l’arancia rossa si produce solo in Sicilia e quasi tutta nella piana di Catania. Tra l’altro l’assenza di industrie di lavorazione delle nostre arance produce gravi danni ai produttori che sono costretti a vendere il prodotto ai commercianti a prezzi bassissimi basta pensare che quest’anno vista la pezzatura ridotta delle arance il prezzo arriva al massimo a 20 centesimi. *
Le criticità e potenzialità evidenziate devono essere da stimolo alle istituzioni locali e a tutti gli attori del mondo agricolo catanese per fare sistema e rivendicare opportuni interventi della regione sia sul piano normativo ed amministrativo sia nell’ambito della programmazione dei fondi comunitari ed insieme fare massa critica ed essere propositori di un piano di sviluppo locale nell’ambito della programmazione del piano regionale in grado di rilanciare l’apparato produttivo agricolo basandosi su quelle che sono le proprie peculiarità.
A pagare il prezzo più alto delle difficoltà del settore agricolo sono i braccianti in su cui si scaricano fattori di crisi infatti oggi i braccianti vivono una condizione di sfruttamento e sono costretti a lavorare 8 – 9 ore al giorno per una paga che si aggira dai 35 /40 euro a fronte di una paga contrattuale che va dai 55 ai 60 euro al giorno a questo bisogna aggiungere che in agricoltura una giornata di lavoro su due è in nero siamo quindi di fronte a lavoratori che spesso non hanno nessun diritto dal punto di vista assistenziale e previdenziale basti pensare che nel 2012 circa 5 mila lavoratori del settore agricolo sono privi di protezione sociale .
Oramai nella nostra provincia nel settore agricolo il lavoro nero è la regola siamo di fronte ad un mercato del lavoro fuori da ogni controllo sociale e democratico l’alta incidenza dell’irregolarità nel lavoro agricolo si combina, non solo con lo sfruttamento ( sottosalario orari in deroga al contratto o lavoro nero) ma anche con una forte sovrapposizione di fenomeni connessi alla criminalità vera e propria. Chi cerca il lavoro deve fare i conti con i caporali senza scrupoli e che purtroppo in alcuni casi operano in combutta con aziende compiacenti. Vi è una forte crescita della presenza di lavoratori extracomunitari rumeni in particolare che accettano condizioni di lavoro disumani specie a Paternò e nell’Acese. Da alcune nostre informazioni vi è una connessione tra la criminalità del luogo e alcuni rumeni dediti alla ricerca di manodopera agricola.
Oggi in tutti i comuni a forte vocazione agricola Biancavilla- Adrano-Paternò – Scordia - Aci Catena ecc, oltre ad una forte crisi economica e sociale vi sono tensioni che rischiano di esplodere in qualsiasi momento con forte ricadute anche sulla tenuta democratica di quelle comunità.
Per questo in questi anni abbiamo cercato di fare accendere i riflettori su questa drammatica condizione ma purtroppo spesso abbiamo dovuto constatare l’assoluta indifferenza delle istituzioni. *
In tal senso vanno ricordate le iniziative del “ Sindacato di strada “ con manifestazioni in tanti comuni della provincia .
Già nel 2011 abbiamo chiesto alla Provincia l’istituzione di una commissione tripartita ma oltre ad una iniziale convocazione poi non è stato dato seguito a quella iniziativa. Per mettere ordine a questa bolgia ci vuole intanto aumentare la qualità e quantità dei controlli che vanno condotti con grande oculatezza e determinazione e poi e sempre più necessario ed urgente intervenire legislativamente sulle norme del mercato del lavoro agricolo.
La Flai è da tempo impegnata su tutto il territorio a svolgere iniziative per sollecitare la realizzazione di una normativa su questo tema e va ricordato che anche a Catania abbiamo svolto una grande iniziativa alla presenza della compagna Stefania Crogi segretario generale nazionale della nostra categoria dal titolo “ Sgombriamo il Campo “ 5 proposte per un mercato del lavoro pubblico, controllato e trasparente basato sul principio che l’incontro tra domanda e offerta avvenga in un luogo pubblico (ufficio del lavoro, Comuni Inps ecc, ) attraverso un efficace programma di prenotazione va ricordato che tale iniziativa a fatto si che anche a livello regionale si iniziasse ad attivare qualcosa in tal senso va segnalata la proposta di legge dell’On. Raia che però e ancora ferma nelle commissioni competenti oltre alla riforma del mercato del lavoro e quanto mai necessario riformare gli ammortizzatori sociali a sostegno dei lavoratori di questo comparto.
In tutti i settori di fronte ad una crisi d produzione, crisi di mercato o per ristrutturazione vengono applicati opportuni ammortizzatori di sostegno al reddito per i lavoratori.
Invece i braccianti agricoli che non maturano il diritto di percepire l’indennità di disoccupazione sono privi di qualsiasi tutela sociale per questo è opportuno una riforma degli ammortizzatori che in caso di crisi di settore preveda opportuni benefici anche per i braccianti.
Emblematica a tal fine è la vicenda del virus della tristezza dove in presenza di questo evento calamitoso la regione ha destinato 10 milioni di euro a sostegno delle imprese a titolo di risarcimento per il danno subito mai lavoratori che hanno perso la possibilità di effettuare le giornate lavorative non hanno avuto nessun sostegno.
Un progetto di rilancio economico deve passare anche dalla valorizzazione della immense bellezze ambientali naturalistiche di cui il nostro territorio e dotato.
Naturalmente il riconoscimento dell’UNESCO che ha dichiarato l’Etna patrimonio dell’umanità deve essere un punto di partenza e non di arrivo, purtroppo, in questi anni anche sulle politiche ambientali e sullo sviluppo dell’economia verde la Regione in questo caso anche gran parte delle forze politiche del territorio hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza, infatti, è assurdo che da oltre 10 anni deve essere adottato il piano territoriale del parco dell’Etna strumento necessario per pianificare i dovuti interventi infrastrutturali e per regolamentare le attività economiche che li possono insediarsi ( agricole, turistiche ecc.).
Risulta essere anacronistica e priva di qualsiasi logica la proposta fatta da parte di alcune forze politiche economiche del territorio che proponevano , per rilanciare lo sviluppo economico dull’Etna la realizzazione del terzo polo turistico in cui si prevedeva la realizzazione di nuovi impianti di sci a prescindere quelle che sono le sofferenze che queste attività hanno sia nel versante di Nicolosi e Linguaglossa.
Invece tenuto conto delle peculiarità serve a sviluppate iniziative funzionali alla destagionalizzazione puntando sull’escursionismo sulle attività didattiche che su quell’aria possono andando quindi sulla realizzazione di infrastrutture che hanno un basso impatto ambientale.
Ma il rilancio del complesso di attività economiche passa attraverso la realizzazione d un marchio dell’Etna per tutti i beni e servizi che li vengono prodotti.
Questa condizione determina un immobilismo del sistema politico ed istituzionale, incapace di aggredire le criticità che stanno alla base di questa congiuntura economica dovuta essenzialmente alla crescente diseguaglianza sociale.
È, ormai, consapevolezza un po’ di tutti che le diseguaglianze sociali sono la causa e non gli effetti di questa crisi.
L’ultima indagine della Banca d’Italia fotografa in maniera ottimale la condizione e le contraddizioni del nostro Paese. Questa indagine dice essenzialmente due cose:
la prima, che i ricchi sono sempre più ricchi; il 10% della popolazione possiede, infatti, il 46,5% della ricchezza, dato che, negli ultimi due anni, è salito del 2%;
la seconda, che il 16% della famiglia vive con meno di 640 euro al mese; ma ciò che è di allarme assoluto allarme è la percentuale che nel sud raggiunga il 24,7% .
Questo studio certifica la condizione di difficoltà che vive gran parte del Paese, ma soprattutto certifica che le politiche economiche sin qui adottate non hanno contrastato il crescere delle diseguaglianze sociali che, addirittura, sono state alimentate con la conseguenza che si è aggravato ancor di più il malessere nel Paese.
Insomma, è stata adottata una politica economica inadeguata per contrastare la crisi che non ha affatto rimosso le cause che l’hanno determinato.
Di fronte al calo del potere di acquisto di salari stipendi e pensioni, bisognava innanzitutto intervenire con una diversa politica fiscale abbassando il costo del lavoro ed il prelievo sui redditi da lavoro, adeguando la tassazione sulle transazioni finanziarie alla media europea (oggi ferma al 12,5%, ben 10 punti in meno rispetto alla tassazione da lavoro) e istituendo finalmente una patrimoniale sulle grandi ricchezze mobiliari ed immobiliari, contrastare efficacemente l’evasione e l’elusione fiscale investendo le risorse recuperate nell’aree deboli del paese e far ripartire l’economia e rilanciare la domanda interna.
Nel bel mezzo della risi quindi ha causa delle politiche fin qui adottate l’Italia si trova ad essere ultimo per competitività delle aziende, in fondo alle classiche per i livelli di occupazione è ai primi posti per la pressione fiscale. Tutto questo è stato accompagnato da una riforma previdenziale che ha reso il nostro sistema tra i più rigidi ed iniqui dell’Europa, ha cancellato ogni legame tra dinamiche previdenziali e la realtà del mercato del lavoro. Una riforma che ci è stata imposta in nome dei giovani ma che in realtà penalizza soprattutto loro oggi con il blocco del turnover domani con la previsione di pensioni inadeguate. E’ un nostro dovere mettere in campo una azione sindacale in grado di determinare le condizioni politiche e sociali affinchè la riforma Fornero venga radicalmente cambiata.
Come categoria non possiamo accettare che i braccianti agricoli siano costretti ad andare in pensione a 67 anni non a caso in buona parte delle nostre assemblee congressuali di base sono state proposti ed approvati ordini del giorno tendente a considerare usurante il lavoro dei braccianti agricoli in sintonia con quanto proposto nella piattaforma del contratto degli operai agricoli in cui si prevede di concordare con la controparte datoriale un avviso comune che favorisca tale riconoscimento per molte figure professionali del mondo agricolo. Se il paese attraversa una fase assai delicata il mezzogiorno rappresenta l’area del paese che più sta subendo le ripercussioni maggiori dell’attuale crisi che ha riaccudizato la debolezza strutturale del sistema produttivo che ha ricadute sul piano sociale tale da determinare una vera e propria emergenza democratica. In questi anni, infatti, la crisi tende ad infierire in quei contesti produttivi già di per se poveri. Contesti dove l’ulteriore destrutturazione del tessuto produttivo comporta che alla fine di questa crisi interi pezzi del sistema produttivo vengono persi per strada con il rischio concreto che alla fine della crisi rimarrà un deserto dal punto di vista produttivo.
In Sicilia, quindi, come nel resto del mezzogiorno oltre agli effetti della attuale crisi paghiamo la endemica debolezza strutturale del nostro apparato produttivo, determinato da decenni di errori in cui sono stati prodotte scelte strategiche sbagliate accompagnate da atti e fatti politici che hanno favorito sprechi e malaffare di una classe di governo che ha pensato esclusivamente ad alimentare un consenso clientelare fine a se stesso senza preoccuparsi dì affrontare con determinazione le criticità del nostro apparato produttivo.
Criticità determinate, innanzitutto, da condizioni di contesto che non favoriscono il sistema produttivo a causa dell’ assenza o ineguatezza di infrastrutture materiale ed immateriali.
Sul piano dei trasporti la Sicilia ha una carente dotazione autostradale ed una rete ferroviaria di qualità scadente. Le infrastrutture portuali ed aeroportuali sebbene presentano una buona diffusione territoriale sono caratterizzate da una criticità dovuta da un dimensionamento non adeguato rispetto alle esigenze economiche della Sicilia ma quello che a mio avviso è un fattore che limita fortemente il nostro apparato produttivo sono le criticità emergenti nelle infrastrutture energetiche che sono un vincolo alla modernizzazione del nostro apparato produttivo.
Per tale ragione vanno spese con oculatezza i fondi strutturali per quelle infrastrutture funzionali per il rilancio del nostro sistema produttivo. Negli ultimi anni l’isola è diventata terra di immigrazione, soprattutto di giovani diplomati e laureati che qui non riescono ad affermare a pieno le proprie ambizioni e non vengono messi nelle condizioni di costruirsi un futuro dignitoso. Il fenomeno dell’immigrazione giovanile impoverisce ancor di più il tessuto sociale della nostra terra è ne limita la possibilità di rilancio economico.
Nell’Ottobre del 2012 con l’elezione a Presidente della Regione di Rosario Crocetta in molti siciliani vi era la speranza che finalmente in questa terra si potesse aprire una nuova stagione politica in grado finalmente di avviare una stagione di profonde riforme sia dal punto di vista politico ed amministrativo sia dal punto di vista economico e sociale. Crocetta ed il suo governo hanno avuto il merito di far accendere i riflettori su parecchi fenomeni di mala politica che alimentavano clientele e ruberie in parecchi settori dell’amministrazione Regionale, tali pratiche, però, hanno sottratto negli anni risorse economiche che potevano essere destinate alla crescita della Sicilia.
Purtroppo a fronte di tale coraggiosa e necessaria azione di moralizzazione non è corrisposta una adeguata azione politica ed amministrativa volta ad aggredire i problemi atavici, prima citati, che ostacolano la crescita della nostra isola. Certo gli errori del passato limitano parecchio l’azione dell’attuale governo come è apparso evidente con la vicenda dell’ultima finanziaria regionale.
Ma al netto di tale difficoltà si ha la percezione che al di là dei proclami siamo in presenza di una classe di governo priva di una strategia chiara ed una visione strutturata di quale azione intraprendere per dare concretezza a quella “ rivoluzione “ tanto annunciata quanto necessaria.
Sono mancati segni tangibili di discontinuità, infatti, non si è provveduto ad una riqualificazione della spesa della regione che avesse come obbiettivo il taglio alle spese improduttive e agli sprechi liberando risorse necessarie da destinare allo sviluppo e per tutelare le fasce più deboli.
In questi mesi non si è provveduto ad una riforma della macchina amministrativa (e quando lo si fa avviene in maniera confusa e pasticciata ) e non si sono minimamente avviate le necessarie riforme economiche.
Il rilancio dell’apparato produttivo presuppone in primo luogo una riprogrammazione dei fondi europei specie in un settore strategico quale è il settore agro alimentare ambientale con una diversa rimodulazione della programmazione 2007 -2013 del PSR indirizzando le risorse verso quelle misure volte a favorire iniziative tendenti alla concentrazione dell’offerta produttiva e sostenendo quei progetti di filiera che vanno dalla produzione alla commercializzazione dei prodotti passando per la trasformazione .
Intraprendendo iniziative di marketing volte alla promozione delle nostre eccellenze e alla valorizzazione del nostro territorio inoltre è necessario utilizzare i fondi strutturali per rimuovere quelle criticità di contesto sopra evidenziate.
Cosi come è necessario favorire con opportuni interventi anche di natura normativa la costituzione dei distretti rurali ed agro alimentari. Così infatti è inconcepibile visto la multifunzionalità della nostra agricoltura che la Sicilia a differenza di tante altre regioni Toscana non sia dotata di una normativa sui distretti rurali utili per integrare le attività agricole con le altre attività economiche coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
Certamente è da apprezzare lo sforzo della Regione Siciliana di dotarsi di uno strumento legislativo avanzato per contribuire alla creazione e allo sviluppo dei distretti produttivi in Sicilia, rimane però il limite oggettivo che i distretti produttivi non si creano solo con i decreti, ma sono il frutto di numerosi elementi di natura economica sociale e culturale e di un processo evolutivo in cui anche le istituzioni locali ed il quadro del partenariato sociale devono svolgere un ruolo più incisivo e determinante
Affinchè l’attività normativa della Regione non risulti vana è necessario che le imprese e le istituzioni operino per creare un tessuto di reti economiche e sociali coeso e allo stesso tempo si adoperi in modo deciso a creare le infrastrutture materiali e immateriali necessari per lo sviluppo dei distretti.
Ciò deve avvenire attraverso interventi mirati a garantire la sicurezza e la legalità nel territorio, che tutelino gli investimenti delle imprese e promuovano più in generale la cultura della legalità e della trasparenza altrettanto importante è la politica dell’istruzione finalizzata alla crescita della cultura d’impresa e non dell’assistenzialismo, questa politica deve contribuire anche alla diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica, al fine di migliorare la qualità delle risorse umane. Fondamentale è una politica volta a creare una amministrazione pubblica più snella, meno pervasiva e costosa, che deve dare prova di buon governo ed efficienza. Infine, fra gli investimenti prioritari in infrastrutture vi sono il potenziamento e il miglioramento delle reti di trasporto, della logistica, dell’energia, della rete idrica, della banda larga, ecc, e proprio per questo si rende indispensabile che le risorse della nuova programmazione (2014-2020) vengono indirizzate per intervenire in questi fattori .
Per quanto riguarda il comparto Forestale da anni rivendichiamo maggiore attenzione al settore ed ai suoi addetti, per tutelare le aree montane e lo sviluppo rurale dove ancora oggi la forestale assume un rilevante ruolo non solo sociale ed economico, ma anche di tutela dell’ambiente, di prevenzione del dissesto idrogeologico e per la stabilità demografica delle aree interne. Manca ancora una seria programmazione politica a tutela del settore che punti ad un nuovo sistema agro-forestale-ambientale capace di invertire la tendenza, passando da una logica assistenziale ad una logica di effettiva tutela dell’ambiente e di contrasto al dissesto idrogeologico e nel mettere a reddito alcune attività forestali.
Fai, Flai e Uila, in questi anni si sono impegnate, assieme a tutta la categoria, dando un valido contributo per determinare un nuovo percorso funzionale a valorizzare la risorsa bosco presentando, proposte di riordino delle legge di settore con l’adozione di un testo unico quale strumento funzionale a determinare un nuovo sistema agro – ambientale- forestale. Purtroppo riscontriamo, nonostante le nostre iniziative, anche su questo settore annunci e scelte confuse e irrazionali (basta vedere la formulazione iniziale dell’art. 12 della finanziaria regionale in cui si prevedeva tra l’altro blocco del turnover ) utili solo ad alimentare un clima di incertezza e di sfiducia dei lavoratori. L’unico dato certo è che in questi 2 anni i lavoratori forestali hanno visto diminuire il loro reddito di circa il 30 % certo da un governo che ai suoi esordi annunciava di non dover fare macelleria sociale ci aspettavamo ben altro atteggiamento tenuto conto del valore sociale dell’attività di questi lavoratori.Va ricordato che proprio a seguito delle proposte formulate dal governo in questa ultima finanziaria che è saltato il tavolo di confronto in cui si doveva discutere della piattaforma elaborata dalle organizzazione sindacale.Noi vogliamo puntare con piani pluriennali all’acquisizione di nuovi demani forestali, al fine di incrementare di oltre il 50% la superficie boscata che attualmente si attesta intorno al 12% a fronte di una media nazionale del 28.80%, differenza ancora più significativa specie se confrontata con gli indici delle altre regioni (Liguria 69% o Toscana 43%).
Proponiamo ancora, all’interno della nostra piattaforma, la prevenzione e la lotta agli incendi boschivi, congiuntamente alla riorganizzazione dell’attività vivaistica per la produzione e la diffusione delle specie autoctone.
È opportuno e necessario sostenere quella Forestale produttiva con una serie di attività, tra cui:
la selvicoltura da legno per produrre quelle masse legnose da destinare all’industria dell’artigianato o all’uso energetico;
la valorizzazione dei prodotti non legnosi
* alimentari (funghi);
* materiale da decorazione (licheni, muschi ecc.);
la funzione turistico ricreativa (agriturismo, escursionismo ecc);
la realizzazione di servizi socio culturali e didattiche.
Queste, insieme a tante altre attività creerebbero, senza dubbio, maggiore opportunità di lavoro e maggior reddito non solo ai lavoratori del settore ma a tutte le comunità rurali.
Ma una seria riforma del settore passa attraverso una maggiore stabilità occupazionale puntando a prevedere per legge quanto concordato nel 2009 con il governo regionale.
Emerge in maniera sempre più evidente la necessità della costituzione di una cabina di regia che possa monitorare tutti i finanziamenti afferenti al settore, assicurando la continuità e l’adeguatezza dei flussi finanziari coordinando gli interventi di tutti i soggetti.
Questa, in sintesi, è la nostra proposta unitaria e non capiamo perché, nonostante l’Italia abbia siglato il protocollo di Kioto, assumendo un impegno per la riduzione dell’emissione dei gas nell’atmosfera e per l’ampliamento della superficie boschiva, non vi sia nessuna apertura per trattare e risolvere i problemi della forestale siciliana e dei suoi lavoratori da parte del governo Regionale.
Una maggiore superficie boscata serve anche a limitare e diminuire il dissesto idrogeologico che da noi è molto diffuso come dimostrano i tragici fatti avvenuti in questi anni e che pone questa regione tra le prime cinque d’Italia con i suoi 53 mila ettari, fra dissesto superficiale e dissesto profondo, che sono pari al 2% della superficie regionale.
Ma un diverso modo di gestire il settore passa attraverso un automatico recepimento del C.C.N.L. e la sottoscrizione del C.I.R.L., scaduto da oltre un decennio negando così ai lavoratori ulteriori incentivi salariali ed una migliore organizzazione del lavoro.
Bonifica *
Il titolo del nostro congresso “ Il lavoro Agro Alimentare Ambientale, decide il futuro del nostro territorio “ nasce dalla consapevolezza che il rilancio economico di questo territorio non può prescindere dalla crescita di questo settore che ha enormi potenzialità ma che purtroppo fino ad oggi sono in grande parte inespresse la nostra agricoltura ha una varietà e tipicità di assoluto valore a partire dal comparto agrumicolo con le arance rosse e con i limoni de3lla zona Jonica, il pistacchio di Bronte, le mele e le ciliegie dell’Etna, le qualità della nostra viticultura che negli ultimi anni ha avuto una notevole espansione con una capacità di produrre dell’ottimo vino rosso con i vitigni dell’Etna, la fragolina di Maletto così come è di indubbio valore la produzione del nostro Olio Dop dell’Etna.
La nostra provincia vanta il più alto numero di prodotti tipici a marchio di qualità e tuttavia nonostante la qualità dei nostri prodotti abbiamo un apparato produttivo agricolo debole ed incapace di svilupparsi adeguatamente in modo da creare sviluppo e benessere per le nostre comunità.
Nella nostra provincia in questo settore vi sono parecchie aziende in crisi e anche sul piano occupazionale abbiamo nell’ultimo anno dei dati preoccupanti infatti nonostante ritenessimo questo un settore anticiclico e quindi al riparo degli effetti della crisi si sono abbattuti ulteriori criticità in un contesto che già presentava parecchi problemi di carattere strutturale
L’agricoltura nel nostro territorio è fortemente parcellizzata, e presenta una forte frammentazione produttiva e dell’offerta ed una scarsa propensione a fare filiera, paga le conseguenze di un sistema commerciale e distributivo molto opaco ma ciò che più ne limita le potenzialità e la modesta capacità di lavorazione e trasformazione dei nostri prodotti agricoli basta pensare che l’agricoltura siciliana è al 2 posto per valore aggiunto dei prezzi di base ma l’industria alimentare siciliana e al 6 posto per produzione è commercializzazione dei prodotti. Questo scarto ci dice quanto ci sia ancora da fare per una vera politica di filiera ma soprattutto ci dice le potenzialità oggi non sfruttate di questo settore anche in termini occupazionali basti pensare che in Sicilia le 2400 aziende alimentari occupano appena 16000 addetti emblematica è la totale assenza della istituzione di trasformare in concentrati dei succhi di agrumi nonostante che su questo tipo di prodotti non esistono competitori mondiali per la semplice e banale considerazione che l’arancia rossa si produce solo in Sicilia e quasi tutta nella piana di Catania. Tra l’altro l’assenza di industrie di lavorazione delle nostre arance produce gravi danni ai produttori che sono costretti a vendere il prodotto ai commercianti a prezzi bassissimi basta pensare che quest’anno vista la pezzatura ridotta delle arance il prezzo arriva al massimo a 20 centesimi. *
Le criticità e potenzialità evidenziate devono essere da stimolo alle istituzioni locali e a tutti gli attori del mondo agricolo catanese per fare sistema e rivendicare opportuni interventi della regione sia sul piano normativo ed amministrativo sia nell’ambito della programmazione dei fondi comunitari ed insieme fare massa critica ed essere propositori di un piano di sviluppo locale nell’ambito della programmazione del piano regionale in grado di rilanciare l’apparato produttivo agricolo basandosi su quelle che sono le proprie peculiarità.
A pagare il prezzo più alto delle difficoltà del settore agricolo sono i braccianti in su cui si scaricano fattori di crisi infatti oggi i braccianti vivono una condizione di sfruttamento e sono costretti a lavorare 8 – 9 ore al giorno per una paga che si aggira dai 35 /40 euro a fronte di una paga contrattuale che va dai 55 ai 60 euro al giorno a questo bisogna aggiungere che in agricoltura una giornata di lavoro su due è in nero siamo quindi di fronte a lavoratori che spesso non hanno nessun diritto dal punto di vista assistenziale e previdenziale basti pensare che nel 2012 circa 5 mila lavoratori del settore agricolo sono privi di protezione sociale .
Oramai nella nostra provincia nel settore agricolo il lavoro nero è la regola siamo di fronte ad un mercato del lavoro fuori da ogni controllo sociale e democratico l’alta incidenza dell’irregolarità nel lavoro agricolo si combina, non solo con lo sfruttamento ( sottosalario orari in deroga al contratto o lavoro nero) ma anche con una forte sovrapposizione di fenomeni connessi alla criminalità vera e propria. Chi cerca il lavoro deve fare i conti con i caporali senza scrupoli e che purtroppo in alcuni casi operano in combutta con aziende compiacenti. Vi è una forte crescita della presenza di lavoratori extracomunitari rumeni in particolare che accettano condizioni di lavoro disumani specie a Paternò e nell’Acese. Da alcune nostre informazioni vi è una connessione tra la criminalità del luogo e alcuni rumeni dediti alla ricerca di manodopera agricola.
Oggi in tutti i comuni a forte vocazione agricola Biancavilla- Adrano-Paternò – Scordia - Aci Catena ecc, oltre ad una forte crisi economica e sociale vi sono tensioni che rischiano di esplodere in qualsiasi momento con forte ricadute anche sulla tenuta democratica di quelle comunità.
Per questo in questi anni abbiamo cercato di fare accendere i riflettori su questa drammatica condizione ma purtroppo spesso abbiamo dovuto constatare l’assoluta indifferenza delle istituzioni. *
In tal senso vanno ricordate le iniziative del “ Sindacato di strada “ con manifestazioni in tanti comuni della provincia .
Già nel 2011 abbiamo chiesto alla Provincia l’istituzione di una commissione tripartita ma oltre ad una iniziale convocazione poi non è stato dato seguito a quella iniziativa. Per mettere ordine a questa bolgia ci vuole intanto aumentare la qualità e quantità dei controlli che vanno condotti con grande oculatezza e determinazione e poi e sempre più necessario ed urgente intervenire legislativamente sulle norme del mercato del lavoro agricolo.
La Flai è da tempo impegnata su tutto il territorio a svolgere iniziative per sollecitare la realizzazione di una normativa su questo tema e va ricordato che anche a Catania abbiamo svolto una grande iniziativa alla presenza della compagna Stefania Crogi segretario generale nazionale della nostra categoria dal titolo “ Sgombriamo il Campo “ 5 proposte per un mercato del lavoro pubblico, controllato e trasparente basato sul principio che l’incontro tra domanda e offerta avvenga in un luogo pubblico (ufficio del lavoro, Comuni Inps ecc, ) attraverso un efficace programma di prenotazione va ricordato che tale iniziativa a fatto si che anche a livello regionale si iniziasse ad attivare qualcosa in tal senso va segnalata la proposta di legge dell’On. Raia che però e ancora ferma nelle commissioni competenti oltre alla riforma del mercato del lavoro e quanto mai necessario riformare gli ammortizzatori sociali a sostegno dei lavoratori di questo comparto.
In tutti i settori di fronte ad una crisi d produzione, crisi di mercato o per ristrutturazione vengono applicati opportuni ammortizzatori di sostegno al reddito per i lavoratori.
Invece i braccianti agricoli che non maturano il diritto di percepire l’indennità di disoccupazione sono privi di qualsiasi tutela sociale per questo è opportuno una riforma degli ammortizzatori che in caso di crisi di settore preveda opportuni benefici anche per i braccianti.
Emblematica a tal fine è la vicenda del virus della tristezza dove in presenza di questo evento calamitoso la regione ha destinato 10 milioni di euro a sostegno delle imprese a titolo di risarcimento per il danno subito mai lavoratori che hanno perso la possibilità di effettuare le giornate lavorative non hanno avuto nessun sostegno.
Un progetto di rilancio economico deve passare anche dalla valorizzazione della immense bellezze ambientali naturalistiche di cui il nostro territorio e dotato.
Naturalmente il riconoscimento dell’UNESCO che ha dichiarato l’Etna patrimonio dell’umanità deve essere un punto di partenza e non di arrivo, purtroppo, in questi anni anche sulle politiche ambientali e sullo sviluppo dell’economia verde la Regione in questo caso anche gran parte delle forze politiche del territorio hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza, infatti, è assurdo che da oltre 10 anni deve essere adottato il piano territoriale del parco dell’Etna strumento necessario per pianificare i dovuti interventi infrastrutturali e per regolamentare le attività economiche che li possono insediarsi ( agricole, turistiche ecc.).
Risulta essere anacronistica e priva di qualsiasi logica la proposta fatta da parte di alcune forze politiche economiche del territorio che proponevano , per rilanciare lo sviluppo economico dull’Etna la realizzazione del terzo polo turistico in cui si prevedeva la realizzazione di nuovi impianti di sci a prescindere quelle che sono le sofferenze che queste attività hanno sia nel versante di Nicolosi e Linguaglossa.
Invece tenuto conto delle peculiarità serve a sviluppate iniziative funzionali alla destagionalizzazione puntando sull’escursionismo sulle attività didattiche che su quell’aria possono andando quindi sulla realizzazione di infrastrutture che hanno un basso impatto ambientale.
Ma il rilancio del complesso di attività economiche passa attraverso la realizzazione d un marchio dell’Etna per tutti i beni e servizi che li vengono prodotti.
28 Febbraio 2014