04 aprile 2013

LA SICILIA DEVE BATTERE I PUGNI A ROMA E NON IN TELEVISIONE PER UNA PROPRIA E PERSONALE VISIBILITA' ELETTORALE


Bilancio: basta trattare, la Sicilia vada allo scontro duro con il Governo Monti



Sarà di certo un nostro limite, ma non riusciamo proprio ad appassionarci al disegno di legge sulla cosiddetta doppia preferenza di genere. Nulla sulle donne impegnate in politica e sui metodi per coinvolgerle nelle istituzioni. Solo che, a nostro modesto avviso, con quello che sta succedendo in Europa, con quello che sta succedendo in Italia e con quello che succede e succederà qui in Sicilia, la doppia preferenza di genere a noi non sembra una priorità.
Se l’economia italiana è bloccata, quella siciliana è già sotto terra. Nella nostra Isola migliaia e migliaia di imprese aspettano i pagamenti dalle pubbliche amministrazioni per lavori già fatti. I consumi vanno a picco. Le aziende chiudono a ripetizione. I suicidi tra gli imprenditori non si contano più. La disoccupazione è alle stelle. Le famiglie sono in grande affanno.
Davanti a uno scenario da guerra, l’Assemblea regionale siciliana non trova di meglio che discutere sulla doppia preferenza di genere. Siamo ben oltre Pirandello, oltre l’assurdo.
Tra l’altro, si discute di cambiare la legge elettorale dei Comuni a ridosso delle elezioni comunali. Dimenticando che la maggior parte dei Comuni siciliani non ha più i soldi non per la spesa sociale (l’assistenza pubblica ai disabili e agli anziani, in Sicilia, di fatto, non esiste più, ma nessuno sembra essersene accorto), ma per pagare gli stipendi ai dipendenti.
Insomma, più della metà dei Comuni siciliani è al dissesto finanziario non dichiarato. I 23 mila precari che lavorano presso gli stessi Comuni sono a rischio perché non ci sono i soldi per pagarli.
Invece di affrontare questi problemi, Sala d’Ercole, da una decina di giorni, si balocca sulla doppia preferenza di genere. Una scena surreale.
Si dirà: la colpa è del Governo della Regione che, nel dicembre scorso, ha consegnato all’Ars un ‘bozzone’ di bilancio per poi ‘rimangiarselo’. Dopo tre mesi – e ad aprile siamo entrati nel quarto mese – lo stesso Governo regionale non ha ancora consegnato a Sala d’Ercole, come abbiamo già scritto stamattina, la nuova versione del progetto di bilancio e finanziaria aggiornata e corretta.
Tutto vero, per carità. Però il Parlamento siciliano non può fingere di ignorare che, in questo momento, all’appello, per chiudere il bilancio della Regione, mancano 2,8 miliardi di euro. E questo è un problema che non riguarda solo il Governo, ma gli oltre 5 milioni di siciliani. 
Mentre scriviamo, a Roma, sono in corso le trattative tra Governo nazionale e Governo regionale su come gestire un bilancio impossibile.
Secondo noi l’errore è nel ‘manico’: con questo Governo nazionale – cioè con il Governo Monti – non si tratta: si va allo scontro e basta.
E’ arrivato il momento di affermare, a chiare lettere, che questo ‘buco’ di 2,8 miliardi di euro nel bilancio regionale non è solo il frutto di scelte politiche della Sicilia, ma è anche il frutto di scelte che Roma ha condiviso e, in certi casi, imposto alla nostra Regione.
Sappiamo tutti che il bilancio della Regione, ad eccezione della sanità (la cui spesa impegna la metà del bilancio della stessa Regione), è costituito, per il 95 per cento circa, da spesa corrente. Ora, tagliare, se non 2,8 miliardi di euro, 2 miliardi o un miliardo e mezzo di euro dal bilancio è una follia. Perché significherebbe gettare in mezzo alla strada migliaia di persone. E questo non è accettabile.
Dobbiamo ricordare, ancora una volta, che tutto il precariato siciliano – e i precari già ‘stabilizzati’ – sono passati al vaglio da Roma, quando non sono stati fatti di concerto con il Governo nazionale. La creazione di precari e le successive ‘stabilizzazioni’, là dove sono state attuate, sono state fatte con leggi regionali che non sono state impugnate dal commissario dello Stato.
Oggi lo Stato italiano, dovendo ottemperare al Fiscal Compact, non solo fa finta di dimenticare che i 2 miliardi di euro di ammanco – un miliardo a valere sul 2012 e un altro miliardo a valere su quest’anno – sono il frutto di scelte che coinvolgono la Regione e lo stesso Stato, ma si vorrebbe prendere pure 800 milioni di euro per pagare la prima ‘rata’ del Fiscal Compact 2013 (il Fiscal Compact, come il nostro giornale non si stanca di ripetere, è un trattato internazionale-demenziale, voluto dall’Unione Europea e approvato dal Governo Monti e dal vecchio Parlamento nazionale, che prevede, per il nostro Paese, un esborso di 50 miliardi di euro all’anno per vent’anni: una follia).
Al Governo Monti, espressione di questa fallimentare Unione Europea, non gliene frega niente della Sicilia e dei suoi problemi. Ha deciso, unilateralmente, di prendersi 800 milioni di euro. In ‘cambio’ ci darebbe soldi che sono già nostri: 300 milioni di euro del Fas, i Fondi per le aree sottoutilizzate destinati al Sud. Questa è una presa in giro. 
Questo è un esempio macroscopico di come le risorse del Fas, che dovrebbero essere aggiuntive, rispetto all’intervento ordinario, finiscano per sostituirsi – per altro solo in parte – al furto di 800 milioni che lo Stato vorrebbe effettuare in Sicilia nel nome dell’equilibrio di bilancio imposto dall’Unione Europea.
Queste cose l’assessore regionale all’Economia, Luca Bianchi, le conosce benissimo, visto che arriva dallo Svimez, che da anni denuncia la trasformazione dei fondi straordinari destinati al Sud, che dovrebbero essere aggiuntivi rispetto a quelli dello Stato, in fondi sostitutivi rispetto all’intervento dello stesso Stato.
Lo ribadiamo: va apprezzato lo sforzo dell’assessore Bianchi di mediare con lo Stato. Ma oggi, alla Sicilia, non serve la mediazione: serve lo scontro duro con Roma.
Anche sull’articolo 37 dello Statuto bisogna essere chiari. Se l’applicazione di questo benedetto articolo 37, già a partire da quest’anno, ci servirà per coprire il ‘buco’ di 2,8 miliardi di euro, bene. Ma se dobbiamo applicare l’articolo 37 dello Statuto e avere, lo stesso, un miliardo e mezzo di ‘buco’ e migliaia di persone gettate in mezzo alla strada, ebbene, l’articolo 37 non servirà proprio a nulla.
E’ arrivato il momento di dire – come ha fatto, del resto, oggi, il professore Massimo Costa commentando il nostro articolo di stamattina – ai 25 mila operai della Forestale, ai 23 mila pecari degli Enti locali, ai 3 mila ex Pip di Palermo, ai mille e 800 operai della Gesip, sempre di Palermo, ai titolari delle imprese siciliane che non vengono pagate dalle pubbliche amministrazioni, ai Sindaci siciliani che non riescono più a pagare i servizi sociali e gli stipendi ai dipendenti e via continuando con altre categorie che se il Governo nazionale taglierà questi soldi a pagare saranno loro.
A pagare saranno i precari degli Enti locali, gli stessi Comuni, gli operai della Forestale, Gesip ed ex Pip di Palermo, gli operai dell’Esa, gli addetti ai Consorzi di Bonifica, i dipendenti delle aziende del trasporto pubblico locale, gli abitanti degli arcipelaghi siciliani, i titolari delle imprese non pagate dalle pubbliche amministrazioni e via continuando.
Per questo motivo il ‘bordello’ non va fatto dopo che Roma effettuerà i tagli, ma prima. Cioè adesso. Bisogna obbligare il Governo regionale di Rosario Crocetta a mostrare i muscoli a Roma. E’ in questa fase che tutte queste categorie debbono far sentire la propria voce. E’ tempo di cominciare a scendere in piazza prima che il Governo Monti finisca di affamare la Sicilia. Lo ripetiamo: ora. In piazza contro il Governo Monti, contro il Fiscal Compact e contro un’Unione Europea sempre più fallimentare.

03 Aprile 2013





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