18 aprile 2017

L'INTERVISTA ALL'ASSESSORE CRACOLICI. "LA SICILIA CALAMITA DI CURIOSITÀ NO AI 'NEMICI DELLA CONTENTEZZA'". "LA POLITICA DEVE AVERE IL CORAGGIO DI MANDARE A QUEL PAESE LA CATEGORIA DEL LAMENTO”


"La politica deve avere il coraggio di mandare a quel paese la categoria del lamento”.

di Salvo Toscano
PALERMO – La “voglia di Sicilia” si sente. La si nota nei dati del turismo nell'Isola, che sta vivendo una bella stagione. O magari in occasione di fiere internazionali come il Vinitaly. Da cui è di ritorno Antonello Cracolici. L'assessore regionale all'Agricoltura racconta della curiosità che ha trovato attorno alla Sicilia. E con lui proseguiamo un ciclo di conversazioni sulla “cultura del piagnisteo” che affligge l'Isola (leggi anche l'intervista a Leoluca Orlando), capace a volte solo di piangersi addosso. Tema caro a Cracolici che già in passato si scagliò contro quelli che, attingendo a un'espressione palermitana, aveva definito i “nemici della contentezza”. 

Ce l'ha ancora con i nemici della contentezza?
“Mi vado convincendo che il più grande nemico della Sicilia è la prigione dei luoghi comuni. Anche la mia ultima esperienza al Vinitaly conferma che c'è una Sicilia attrattiva, calamita di curiosità, che molti guardano con l'atteggiamento della scoperta. È una terra per chi ama la curiosità. Di tutto questo i siciliani sembra che non ne abbiano consapevolezza. Ci rappresentiamo peggio di come questa regione è. Attenzione, le difficoltà ci sono, è chiaro, siamo nel Mezzogiorno e risentiamo dei problemi di questa parte d'Italia, ma ci sono anche importanti aziende, ricerca, innovazione”. 


E allora perché si diffonde la cultura del piagnisteo?
“Quando racconti la società con il lamento è un po' come incontrarti con i parenti. È un luogo sicuro. Diventi distonico se parli bene della Sicilia. È la liturgia che deve prevalere. Ripeto: non è che non ci siano difficoltà. Nel settore dell'agroalimentare stiamo facendo cose incredibili ma di tutto questo non c'è consapevolezza. Anche voi avete difficoltà, la narrazione giornalistica finisce per cancellare tutto ciò che può diventare un esempio da emulare, prevale la dimensione della sconfitta. È come se ci sentissimo tutti a nostro agio così”. 


Non è che il piagnisteo diventa anche un comodo alibi? Anche per giustificare i propri fallimenti.
“È proprio così. È il brodo nel quale si giustifica tutto, anche il malaffare. Se vogliamo far volare la Sicilia dobbiamo liberarci del Gattopardo, del 'tutto cambia per non cambiare mai nulla'. Non è vero. La Sicilia non è una cartolina fissa. Il carretto siciliano e il ficodindia non sono un'immagine fissa. La Sicilia sono i ragazzi della movida di Palermo, le start up di migliaia di giovani imprenditori. Al Vinitaly è venuta un'azienda a presentare il succo del ficodindia ma con un procedimento grazie al quale dalla pala del ficodindia si estrae una trama che diventa prodotto con sui si fanno le pelli. Questo è frutto di lavoro e di ricerca. Ecco, quell'immagine di Sicilia rappresentata dal ficodindia si può trasformare”. 


Lei parla di giovani e start up. Ma la fuga dei cervelli dalla Sicilia è una realtà. Ed è un sintomo di mancanza di futuro.
“La Sicilia è una regione del Mezzogiorno, dove si è destrutturata la prospettiva economica. La dimensione di sviluppo è fondata sulle singole persone, manca una politica, manca una visione. Negli anni '50 e '60 c'erano le grandi aziende pubbliche, ora non più. Ma negli ultimi anni l'agroalimentare siciliano ha una crescita a due cifre. E se il Pil cresce poco questo è il frutto della media tra questa crescita e il calo della raffinazione del petrolio. Diciamo che esportiamo meno petrolio e più uva e marmellata. Ma chiediamoci: era meglio quel modello di sviluppo?”. 


Il pubblico però non c'è più. E non credo che oggi si possa rimpiangere il modello delle partecipazioni statali. Qual è allora il modello giusto per crescere?
“Non c'è dubbio che dobbiamo sostenere il processo di aggregazione. A questo proposito faccio presente un dato. Il bando della misura 4.1 dei fondi europei si è chiuso martedì. Ci veniva richiesta da più parti la proroga del bando. Una proroga in Sicilia non si rifiuta a nessuno. Io invece ho cercato di tenere la barra ferma. Abbiamo chiuso con 2.681 domande. Tantissime. Per la misura analoga nella scorsa programmazione le domande erano state mille. Gli investimenti proposti ammontano a un valore di due miliardi e 500 milioni di cui la richiesta di contributo pubblico è di un miliardo e 400 milioni. È un dato che fa riflettere sulla vivacità dell'impresa agroalimentare”. 


In Sicilia abbondano le eccellenze, che sono una nicchia. Ma lo sviluppo si fa con la massa, si fa con i comparti, con le filiere...
“Il problema è il sistema. Abbiamo presentato al Vinitaly un lavoro fatto in questi dieci anni dall'assessorato, non l'ho fatto io, è stato pianificato ben prima di me. È una ricerca su 70 vitigni antichi di Sicilia, alcuni non più in produzione, un grande lavoro sulla storicità della viticoltura siciliana. Fare rinascere queste piante è un pezzo di futuro, la ricchezza genetica che ha la Sicilia non l'ha nessuna regione. È un lavoro di ricerca di altissimo profilo, e lo ha fatto la Regione, che viene citata come un posto di scansafatiche. Noi dobbiamo ridare autostima ai siciliani e mettere al bando le parole 'ma cu tu fa fare?'. E la politica deve avere il coraggio di mandare a quel paese la categoria del lamento”

17 Aprile 2017

Fonte: livesicilia.it







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